Anaglyphos – 2013
Carlo Cattano: flauti, sax soprano, sax baritono, direzione d’orchestra
Ivan Cammarata, Maurizio Agosta, Matteo Cutello: trombe
Sebastiano Bell’Arte: corno francese
Giuseppe Consiglio: trombone
Marco Caruso: sax contralto, sax soprano
Giovanni Cutello: sax contralto
Fabio Tiralongo: sax tenore
Andrea Iurianello: sax baritono
Luca Pattavina: chitarra, mandolino
Filippo Dipietro: contrabbasso, basso elettrico
Antonio Moncada: batteria, timpani
Alessandro Borgia: batteria, marimba
Carlo Cattano ci aveva lasciato con il suo ultimo lavoro in trio intitolato Impromptu. Un disco pregevole in cui l’autore si destreggia come solista e compositore. Con Hiccup fa conoscere un altro lato della sua personalità, quello di direttore d’orchestra e arrangiatore. In Hiccup è alle prese con una big band, dove la forza trainante è data dai fiati, dieci elementi che spingono e caratterizzano il suono della band. Cattano, esperto conoscitore della storia delle orchestre nel jazz, l’ha organizzata seguendo un criterio che va a fondere la struttura swing, con una concezione di band moderna e fortemente ritmata. Ci sono due batterie, e relative percussioni, per rimarcare il timbro, già evidente con i fiati; manca il pianoforte, sostituito nella parte armonica e solistica dalla chitarra; e poi il contrabbasso che si alterna al basso elettrico per un suono più “sporco” e funky (Sottosopra). Cattano ha costruito una tela di suoni in cui i solisti si muovono improvvisando anche a più voci, fornendo inaspettate soluzioni ai vividi e colorati arrangiamenti architettati da lui stesso. Infatti, i dieci brani, tranne Prelude To A Kiss, sono sue invenzioni in cui si incontrano in maniera originale e per nulla scontata le sue culture che vanno dallo swing (Basie, Ellington), al jump, passando per Gil Evans, Stan Kenton, Gerry Mulligan, il free, l’avanguardia, la scuola di Chicago e la nuova espressività contemporanea. La title track riassume tutto quello che si è detto, si pone all’interno del disco come un riferimento programmatico da cui partire e nello stesso tempo tornare. Ogni brano ha una sua evidente oggettività e personalità (M.R.A., Coming and Going, Sometime Ago, Fever e Villar), dove nella continuità progettuale e timbrica, Cattano ha saputo costruire delle singole storie che possono essere estrapolate e lette senza alterare il concetto d’insieme. Probabilmente questa è la modernità di un disco dagli esiti felici, che riesce a trasmettere una forte passione per il jazz e la sua storia.