Le esplorazioni di Baida: Ralph Alessi Quartet Live

Foto: Aldo Del Noce










Le esplorazioni di Baida: Ralph Alessi Quartet Live.
Palermo, Palazzo Pantelleria – 23.3.2014



Ralph Alessi: tromba

Gary Versace: pianoforte

Drew Gress: contrabbasso

Nasheet Waits: batteria


Recentissima, giusto di poche settimane orsono la consegna alle stampe di Baida, nuova fatica da titolare del trombettista-compositore californiano, evolutosi con celerità alle corti di Sam Rivers, Uri Caine e Ravi Coltrane, sodale d’eccellenza di Fred Hersch o Drew Gress, ancora in ECM ma in ruolo da leader in questo caso, con una incisione che senza mezzi termini (almeno in base alle note stampa) ne sancisce lo status di “musicista finalmente arrivato”.


Un’apprezzabile celebrazione concertistica ha visto protagonista Ralph Alessi in quartetto presso il plurisecolare palazzo Pantelleria di Palermo, edificio cinquecentesco testimone della dominazione ispanica, abitato nel proprio atrio da uno spettacolare e altrettanto stagionato ficus-magnolia, che almeno in atmosfera non difettava nell’albergare una manifestazione atta a fungere da stato dell’arte dei movimenti del corrente jazz del nuovo continente.


Giusto il caso vuole che Baida sia una collinosa, panoramica zona della città ospitante, curiosità di cui il protagonista dev’esser stato informato, se si precipita a precisare che il titolo del suo ultimo album è invece parola di fantasia e molto privata, non perdendosi peraltro in alcuna autocelebrazione verbale, dando piuttosto voce a materiali di corpo peculiare di scarsa concessione al manierismo, durante un composito incontro live, separato con una certa evidenza da due set distinti per programma, stile interpretativo e impatto d’insieme.


Più votato all’astrattezza e a formule spesso inusuali il set pomeridiano, caratterizzato per buona parte dal ricorso ad un repertorio compositivamente più cerebrale, poco accattivante anche nelle esposizioni del solista, scarsamente preoccupato di smaltate e rotonde sonorità, spesso segnato da un’esposizione più ossuta del corpo strumentale e libero di giocare anche con blocchi melodici minimali, ribaltando in buona parte le impressioni con il diverso carattere del set serale, alquanto differente per mood e fruibilità, pervaso da colore e feeling assai più etero-diretti, alternando in differente misura i materiali dell’ultima incisione ai piuttosto felici innesti tematici da Charlie Parker, Cole Porter e Ravi Coltrane, fra gli altri.


Nette comunque l’ispirazione e la presenza del leader, che guidava un interplay aperto e spesso rischioso, ma garantito dalla consistenza d’apporto della band, in primis il regolare partner Drew Gress, assai affaccendato nel ruolo di collante della quasi totalità dei movimenti, imbastiti armonicamente da un relativamente più defilato Gary Versace, sostituivo dell’alter ego discografico Jason Moran, dalle capacità palesi come evidenziate dai comunque rari momenti solistici, più d’appannaggio invece di un quasi dilagante Nasheet Waits, drummer di tangibile istinto e versatilità, enormemente contributivo alla resa formale dell’evento, le cui due sequenze opportunamente palesavano due differenziati intendimenti spettacolari.


Il palpabile consenso della serata sanciva il valore di posizione primaria delle invenzioni e dello stile interpretativo del trombettista, da collocare con poche esitazioni entro il più aggiornato “who’s who” del variamente fruibile jazz odierno e con il quale, nell’intervallo, abbiamo voluto intrattenerci per un breve scambio di vedute.



Jazz Convention: Davvero una lezione, di stile e completezza … Grande feeling, ma nella prima parte potremmo azzardare un approccio esplicitamente più teoretico. Questo è in linea con il tuo attuale atteggiamento e la tua attuale ricerca?



Ralph Alessi: È un’interpretazione, certo posso condividere ed essere d’accordo, così come con altre naturalmente. Forse aspetterei lo sviluppo dell’intero programma, il secondo set è molto diverso. Teniamo conto della molteplicità di esperienze che abbiamo attraversato, sia io che questi fantastici compagni. Le nostre sintonie sono ciò su cui siamo focalizzati, con il massimo rispetto reciproco per gli apporti che ognuno di noi può conferire all’insieme, è un’esplorazione continua, durante la performance ci ricerchiamo tra noi, sintonizzati sulla nostra capacità di sorprenderci. Va bene qualunque interpretazione, ma io in primo luogo porrei il nostro grande motore, un’esplorazione sempre nuova… da cui il mio invito: Enjoy the music!