International Jazz Day Unesco: piccole etichette crescono ovunque

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International Jazz Day Unesco: piccole etichette crescono ovunque.




E siamo a meno ventidue: mancano infatti 22 giorni al 30 aprile, che il consiglio UNESCO dal 2012 proclama e onora quale Giornata Internazionale del Jazz, un po’ come accade da oltre un decennio per il 21 marzo Giornata Unesco della Poesia. Il jazz è una musica “Patrimonio dell’Umanità” e dunque ben venga un giorno in cui si festeggi, si sostenga, si ascolti, si discuta il jazz negli aspetti più vari, salienti, filantropici in tutto il mondo: non a caso l’immagine che simboleggia l’International Jazz Day è una foto in bianco e nero, dove si vede una parte di un’automobile sul cui portapacchi è issata un’enorme bomba (finta) recante la scritta “Jazz Not War”, mentre vicino al bagagliaio un cartello dice “April 30th”.


Tutto questo significa che il jazz dev’essere vissuto non solo quale momento di euforia musicale, ma soprattutto come arte pacifica condivisa su tutto il Pianeta, in quanto stimolatrici di unioni, fusioni, contaminazioni, aggregazioni. E infatti il jazz da sempre è così: negli Stati Uniti non fa mai litigare nessuno, bianchi o neri, meticci o mulatti, anzi li avvicina tutti fino a stringere lunghe amicizie sincere e stretti rapporti collaborativi. Anche in Europa il jazz è sinonimo di libertà e democrazia, un baluardo contro ogni dittatura da Mussolini a Hitler, da Franco a Salazar, da Cateano ai colonnelli, da Stalin a Breznev che, lungo il Novecento, tentano di impedirne la diffusione. Ma libertà e democrazia sono anche strettissimamente connaturate al “fare jazz”, come gioco di squadra, esperienza collettiva, apporto paritario anche alla presenza di un leader indiscusso.


Fra i tanti modi di anticipare la “festa (o ricorrenza) del jazz”, l’attenzione stavolta ricade sulle label o piccole etichette indipendenti che, sin dai tempi dei race records degli anni Venti, svolgono un ruolo didattico fondamentale nel lanciare grandi jazzisti. Ora, in questa breve carrellata, di proposito incompleta, viene fornito un assaggio di dieci case discografiche che – esclusi i due centri musicali per eccellenza Londra e soprattutto New York City (di fatto ancora la “capitale del jazz”) – operano tutte in aree periferiche sia degli Stati Uniti sia delle singole nazioni europee, ma che mostrano invece qualità, coraggio, intraprendenza, che sono poi le doti comuni al miglior jazz passato, presente e forse futuro.


Mama Records (Tempe, Arizona, USA)

Comune ai tre dischi è un atteggiamento dal respiro sinfonico, che del resto caratterizza la poetica della label: non una rinnovata third stream music, ma, più audacemente, il tentativo di rileggere il jazz “progressivo” in sontuose vesti orchestrali e con rigorose parti scritte.

The Kim Richmond Concert Jazz Orchestra, Aristry. A Tribute To Stan Kenton

Randy Brecker Plays Wlodek Pawlik’s, Night In Calisia

Chuck Owen & The Jazz Surge, River Runs

Chicken Soup Records (Tempe, Arizona, USA)

Affiliata, come la Mama, alla Summit Records, in questo caso però il jazz è orientato verso il mainstream, con proposte dirette, in questi due Cd, alla valorizzazione del jazz organistico, nel precipuo stile jazz soul, grazie a un paio di giovani talenti da tenere d’occhio.

Matthew Kaminsky, Swingin’ On The New Hammond

Kevin Coelho, Turn It Up

Moreismore Records (New York City, New York, USA)

L’etichetta di fatto risulta un’emanazione dell’indefessa attività del giovane Charles Evans al sax baritono che s’avvale spesso di colleghi assai più noti (Evan Parker, Craig Taborn, Dave Liebman) per un jazz che rasenta il free più oltranzista, perpetuando una “consuetudine” tutta bianca nella Grande Mela.

Peter Evans, Zebulon

Rocket Science, Rocket Science

Charles Evans, Subliminal Leaps

Moonjune Records (New York, New York, USA)

Vota soprattutto al prog rock avanguardista e alla Canterbury School (talvolta con il recupero di preziosi inediti), la label di Leonardo Pavkovic di recente apre all’interessante fusion indonesiana o a musicisti di confine nella sempre nuova Europa dal Belgio ai Paesi Baschi come in questi casi.

Susan Clynes, Life is…

Dewa Budjana, Surya Namaskar

Xavi Reija, Resolution

Driff Records (Boston, Massachusetts, USA)

Come per Charles Evans con Moreismore, così Driff Records è per il pianista di origini greche una seconda casa o una proiezione autobiografica, nel senso che viene costruita su misura onde permettersi una ricerca molto avanzata, dai tributi ai “padri nobili” fino alle proprie composizioni.

Pandelis Karayorgis Trio, Cocoon

Pandelis Karayorgis Quintet, Circuitous

The Wammies, Play The Music Of Steve Lacy

Capri Records (Bailey, Colorado, USA)

Fra tutte quelle prescelte, è senza dubbio la casa discografica affine al gergo mainstream, con tributi più e meno diretti allo swing e al bebop con un turbinio di ben 52 immensi standard in totale, riletti da tre valenti combo come pure da una brillante formazione studentesca.

Frank Potenza, For Joe

Colorado Conservatory For The jazz Arts, Hang Time

Wilford Brimley, With The Jeff Hamilton Trio

Mike Jones Trio, Plays Well With Others

Nobusiness Records (Vilnius, Lituania)

La più jazzisticamente attiva tra le cosiddette Repubbliche Baltiche fin dagli anni Venti, la Lituania presenta ora una label votata al jazz internazionale con nomi prestigiosi soprattutto nell’ambito free e sperimentale registrazioni in tutt’Europa.

Grey Matter, 2° étage

Howard Riley, Live With Repertoire

Daunik Lazro / Joelle Léandre, Hasparen

Slam Records (Abington, Gran Bretagna)

L’etichetta di Martin Davidson, ormai punto di riferimento per tutta la scena radicale europea, partita con il free jazz britannico, vanta eterogenee situazioni con performance spesso dal vivo di improviseted music estrema di generazioni musicali diverse, recuperando talvolta nastri inediti.

Primitive Arkestra Live, Dolphy’s Hat

Glen Hall & Bernie Koenig, Overheard Conversations

Howard Riley, To Be Continued…

Basho Records (Londra, Gran Bretagna)

Resta la meno british e la più americana fra tutte le jazz label del Regno Unito, a proporre dunque un sound post-bop che viaggia tranquillamente lungo le traiettorie del new mainstream per piccoli gruppi, salvo l’ironica contaminatio del trio pipistrellato.

Trish Clowes, And In the Night (Time She Is There

Kit Downes, Light From Old Stars

Welcome To Bat Country, The Golden Age Of Steam

Ozella Music (Borchen, Germania)

Si tratta di un’etichetta versatile con un bel catalogo che spazia attraverso diversi linguaggi jazzistici: in questi cinque album prevale la variante nordica che, senza assurgere all’algido cerebralismo di altri noti concorrenti (ECM in primis), propone ricerca e originalità dai richiami colti.

Ensemble Denada, Windfall. Music By Heige Sunde

Stefan Aeby Trio, Utopia

Gisle Torvik, Tranquil Fjord

Karl Seglem, NyeSongar.no

Provogue (Berkel en Rodenrijs, Olanda)

Come si può osservare dai nomi peraltro famosi anche per i non addetti ai lavori, la label punta molto su un blues contaminato dal soul e dal rock, con solisti (voce e chitarra elettrica) che sanno unire il virtuosismo alla spettacolarità.

The Robert Cray Band, In My soul

Beth Hart & Joe Bonamassa, Live In Amsterdam

Robben Ford, A Day In Nashville.