Un omaggio all’International Jazz Day 2014 e a nove nuove pubblicazioni

Foto: da internet









Un omaggio all’International Jazz Day 2014 e a nove nuove pubblicazioni.



Una figura in ombra



Vorrei celebrare, in maniera un po’ personale, questo nuovo Jazz Day, il terzo da quando viene istituito: lo vorrei fare attraverso una figura che rimane in ombra rispetto ai musicisti o ad altri operano nel mondo del jazz più o meno direttamente dai produttori ai giornalisti, dai manager ai discografici, dai jazzologi a collezionisti, dai fotografi agli storici, dai docenti ai musicologi. Questa figura è l’addetto stampa, che provvede a diffondere il jazz e i suoi artisti mediante i comunicati riguardanti via via l’attività performativa dai concerti ai dischi fino alle più svariate iniziative.


Prima, però, vorrei spendere ancora due parole su questo International Jazz Day, che vanta centinaia di iniziative in tutto il mondo: lo faccio per una ragione molto semplice che riguarda in primis l’informazione. In un mondo mediaticamente globalizzato come il nostro, mi capita ancora (e la sensazione è comune a tanti colleghi) di incontrare per strada o sentire al telefono o via e-mail molti amici (che fanno jazz o lo ascoltano) ignari della ricorrenza. E dire che basta un qualsiasi facebook, senza parlare della Rete, per sentirsi inondato dagli eventi organizzati, lungo il Pianeta, per il Jazz Day 2014.


Detto questo vorrei quindi soffermarmi su tre addetti-stampa di nazionalità diverse (spagnola, inglese, americana) che in questi anni sono di grandissimo aiuto per la mia attività di critico musicale impegnato soprattutto nelle recensioni discografiche: con i loro puntuali invii di nuovi CD – per ora riesco ancora a rifiutare di scrivere di musica in streaming, sostenendo categoricamente l’oggetto fonografico, vinile o digitale, contro il depauperamento culturale prodotto dall’invasione di musica liquida – mi permettono in pochi giorni di essere aggiornato sul jazz di oggi (e sulle ristampe di quello “storico”), dandomi quindi la piena facoltà di poter scegliere cosa (e come e quando) recensire.




Silvia Valderrama (Spagna)


Si occupa da Saluzzo (Cuneo) dell’Egea Music che da un lato ha una specifica etichetta impegnata del jazz e nel folk e dall’altro distribuisce label straniere molto importanti come Dreyfus (Francia), Enja e Act (Germania), Karonte (Spagna), World Music Network (Regno Unito), Harmonia Mundi World&Jazz (Francia), Telarc e Heads Up (Usa), Solar Records, Essential Jazz Classics, Groove Hut Records (Eu).




Tre recenti uscite:


Horace Silver Quintet, Live In New York 1953


L’atto fondativo dell’hard bop si deve anche a queste session improvvisate (probabilmente nel mitico Birdland) dove il leader, ovviamente al pianoforte, assieme a Lou Donaldson (alto), Jimmy Schenck (contrabbasso), Llyod Turer (batteria) già intravede l’ora del riscatto nero dopo il torpore bianco californiano, benché qui sia ancora forte, in generale, l’influenza parkeriana.




Ahmad Jamal, The Complete 1962 At The Blackhawk


Ascoltando questo doppio cd che contiene la registrazione dei due concerti nel celebre locale di San Francisco il 31 gennaio e il 1° febbraio si capisce perché il Miles Davis di solito sprezzante verso gli altri jazzisti, sostenesse di essere in debito con lo stile (in effetti inimitabile) del pianista allora trentaduenne al massimo grado di un’eleganza inventiva nella formula classica del piano jazz trio.




Eddie Lockjaw Davis & Don Patterson Quintet, Complete Recordings


Il bollino pubblicitario racconta di radici dell’acid-jazz, ma in realtà i due LP qui riuniti – Trackin’ e I Only Have Eyes For You, entrambi 1962 – sono qualcosa in più (e di più jazzistico) soprattutto per il tenorista discepolo di Coleman Hawkins e dunque raffinato balladeur, benché a suo agio nei pezzi soul incalzati dalla vivacità hammond.




Jim Eigo (U.S.A.)


Responsabile della Jazz Promo Service da Warwick (Stato di New York) al mondo intero ha il compito di far conoscere molte piccole etichette indipendenti, che hanno in catalogo jazzisti meravigliosi (alcuni dei quali già molto famosi) con l’idea di un sound innovativo anche quando guarda retrospettivamente al proprio passato.




Tre recenti uscite:


Louis Prima Jr., Blow


Figlio d’arte – il genitore Louis Prima è quello di Just a Gigolo – è il tipico intrattenitore da Las Vegas, soprannominato the “Crown Prince” of Swing, perché riprende lo stile paterno, aggiornandolo però con una fresca ventata di boogie, jump e r’n’b, grazie all’ottetto accompagnatore (i Witnesses), in undici pzzi scatenati dalla musica un po’ rétro e un po’ vintage.




Perry Beekman, Bewitched


Il sottotitolo la dice lunga: Sings And Plays Rodgers & Hart. Da solo, voce e chitarra (più un contrabbasso e un pianoforte in alcune occasioni) il non più giovane jazz singer si prodiga in quindici stupendi brani del duo di songwriter forse più famoso nella storia americana, dal repertorio dei quali i jazzmen fin dagli anni Trenta attingono a piene mani. Perry Beekman colpisce sia per il timbro sia nell’interpertazione di questi “classici’.




Barbr Jungr, Hard Rain


La cantante britannica compie una missione quasi impossibile: trasformare in jazz undici canzoni dei due massimi folk singer contemporanei, il canadese Leonard Cohen e l’americano Bob Dylan. E ci riesce assai bene, grazie ad arrangiamenti congeniali, a un’essenziale sezione accompagnatrice e soprattutto a una voce al contempo intensa, morbida e gradevole.



Martin Davidson (Gran Bretagna)


Il responsabile, anche e soprattutto in chiave artistica, della maggior label di free jazz, ostinatamente in 40 anni esatti, da Londra, propone il meglio della creative music, della frei musik, dell’improvised music tra Inghilterra e Germania, Nord e Sud America, valorizzando nuovi talenti ma non dimenticando di offrire fondamentali storiche registrazioni dal vivo (spesso inedite).



Tre recenti uscite:



Evan Parker, The Topography Of The Lungs


Ecco ristampato l’album d’esordio del maggior sassofonista free inglese: correva l’anno 1970 e assieme al concittadino Derek Bailey (chitarra) e all’olandese Han Bennik (batteria), allora semisconosciuti, il nuovo Parker dà vita a un set rivoluzionario: il primo brano di venti minuti (allora sull’intero lato A) sembra quasi il manifesto programmatico della new thing sul Vecchio Continente.




Steve Lacy, Soprano saxophone Solos In Avignon And After – 2


Dell’immaginifico sopranista vengono iterate le proposte delle performance in completa solitudine, da cinque diverse occasioni lungo i Seventies: Avignone (1972 e 1974), Parigi (1975), Edmonton (1976) e Colonia (1977): tredici frammenti in tutto, spesso anche molto brevi, ma di magistrale introversa espressività (anche lontana dal consueto free).




Iskra 1903, South On The Northern


Il gruppo ispirato, nel nome, dal giornale rivoluzionario fondato Lenin in esilio, esiste dal 1970 al 1995 con cambiamenti di formazione: qui, nel 1988, è un trio con Paul Rutherford (trombone), Philipp Wachsmann (violino ed elettronica), Barry Guy (contrabbasso ed effetti speciali), con due lunghi happening in altrettante località inglesi all’insegna del puro rumorismo.




All’unanimità



Dunque partirei anzitutto dalle parole del fondatore, il grande pianista Herbie Hancock che nel 2012 ha l’idea dell’International Jazz Day, come spiega in quei giorni: «L’anno scorso (2011) sono stato no minato ambasciatore di buona volontà dell’UNESCO, e la prima proposta che ho fatto fu quella di istituire una giornata internazionale di jazz per l’UNESCO. Quella proposta fu approvata all’unanimità da tutti i 195 paesi membri. Erano tutti molto entusiasti, essa è andata avanti senza intoppi. A proposito, ci sono un sacco di appassionati di jazz tra gli ambasciatori dell’UNESCO. Un giovane è l’ambasciatore dello Sri Lanka è un enorme fan di jazz. E uno pensa, lo Sri Lanka, come è possibile?»


Per lui si tratta del momento giusto per una giornata internazionale del jazz: «Diventerà un evento annuale, questo è solo il primo. Da ora in poi il 30 aprile sarà la Giornata Internazionale del Jazz, questo è sicuro. Credo che si potrebbe paragonare a una vacanza, una giornata di celebrazioni che sarà un riconoscimento annuale del jazz come musica internazionale, ovviamente nata in America».


L’intento è anche quello di rimarcare gli scambi artistico-culturali attraverso le musiche in tutto il mondo, prendendo il jazz come un linguaggio sonoro particolarmente adatto a questa missione umanitaria: «Guardiamo – è ancora Hancock a disquisire – alla storia del jazz e al ruolo che ha svolto nell’infondere la speranza della libertà durante la seconda guerra mondiale. In un film in cui fui coinvolto, Round Midnight, uno dei personaggi principali era questo francese che era andato in guerra, e il jazz lo aveva salvato. Quello che accadde fu che lui si assentò senza permesso, mentre tutta la sua truppa fu spazzata via, ma lui rimase vivo perché se n’era andato. Ed egli attribuisce al jazz il merito di avergli salvato la vita. La gente sente la libertà nella musica.»




Futuro molto luminoso




In altre parole, secondo Hancock, l’International Jazz Day dev’essere anzitutto «il riconoscimento da parte del pianeta che il jazz è una musica da celebrare. Questa è una grande musica che deve essere riconosciuta come realmente internazionale e veramente come una forza diplomatica positiva a causa del suo contributo culturale».


E tutto ciò potrebbe giocare a favore del fatto che, come concorda anche Herbie, in questo momento il jazz sia in salute come non mai: «Vedo tanti giovani che sono coinvolti con il jazz, con bande jazz sia nelle loro scuole superiori che in altre organizzazioni. Stanno spuntando ovunque. Dei teenagers che già improvvisano. Forse non si sente molto alla radio o non si vede molto in televisione, ma sta accadendo. E a giudicare da quello che ho sentito dal risultato creativo di alcuni di questi giovani, il futuro sembra molto luminoso per il jazz». Perché il jazz è vivo, è realtà.