Abeat Records – ABJZ 526 – 2014
Tino Tracanna: sax tenore, sax soprano
Massimo Colombo: pianoforte, Fender Rhodes
Attilio Zanchi: contrabbasso
Tommaso Bradascio: batteria
Il titolo del disco e la denominazione del quartetto vengono spiegati dai dodici brani presenti nel disco. Nella maggior parte dei casi si tratta infatti di composizioni scritte da cinque grandi maestri del jazz di tutti i tempi – Thelonious Monk, Yusef Lateef, Wayne Shorter, Carla Bley e Steve Swallow, in ordine anagrafico – e dedicate, in massima parte, a persone, pubbliche e private. Si parte quindi dall’interno del mondo jazzistico per tratteggiare dei ritratti: a dare vita a questa operazione sono quattro personalità importanti del jazz italiano come Tino Tracanna, Massimo Colombo, Attilio Zanchi e Tommaso Bradascio in un lavoro abile nel mettere in evidenza le diverse prospettive presenti all’interno del linguaggio del jazz.
La scelta ricade su brani come Ask me now e Evidence di Monk, Morning di Lateef, Aung San Suu Kyi, Prince of Darkness e Penelope di Shorter, Ida Lupino di Carla Bley, Remember, Let’s Eat e Muddy in the Bank di Steve Swallow ai quali si aggiungono un paio di originali quali Yangon, firmato da Massimo Colombo e la collettiva e atmosferica Alba che va a porsi come apertura di Morning. La scelta, in qualche modo, è quella del ripensamento del mood tipico dei compositori per offrire una riflessione che parte dalla scrittura originale per proporre un punto di vista personale. Si riconosce sempre la pronuncia sicura di Tracanna, il suo modo articolato, pensante e fluido, di porgere le frasi e, allo stesso tempo, si individua in maniera immediata la scrittura di un maestro come Shorter, per fare l’esempio sui sassofonisti. Lo stesso avviene negli altri casi. Il quartetto disegna in maniera oculata e non costrittiva le coordinate all’interno delle quali si muove: una lettura che si pone consapevolmente entro i canoni del jazz senza dimenticare il proprio stile o quello dei musicisti presi in considerazione, una scelta di sonorità morbide, resa ancora più esplicita dall’alternanza tra pianoforte e Fender Rhodes.
Con Portraits, Tracanna, Colombo, Zanchi e Bradascio danno vita a un lavoro vario proprio perché tiene conto e si dirige senza cerebralismi verso le diverse prospettive che il linguaggio del jazz ha presentato e offerto nel corso degli ultimi sessant’anni, se prendiamo come “ora zero”, in questo caso, le composizioni monkiane. Il disco rivela l’intenzione di far passare quest’analisi attraverso il suonare e non per mezzo di una progettazione calata dall’alto o dimostrativa: naturalmente, però, di analisi si tratta, concepita passo dopo passo con attenzione per disegnare in modo efficace e sempre equilibrato le varie atmosfere dei brani.