Il gioco delle esperienze. Intervista a Uri Caine

Foto: Bill Douthart dal sito www.uricaine.com










Il gioco delle esperienze. Intervista a Uri Caine




È un caldo pomeriggio, finalmente, e sono in viaggio verso Torino dove, alle 17,30, incontrerò Uri Caine per un’intervista esclusiva. La mezz’ora che mi ha riservato, in Conservatorio, precederà una lezione di un’ora che egli dedicherà ad una dozzina di allievi del Corso in cui insegna Furio di Castri: sarà anche lui presente. Quindi la prospettiva di avere, in un colpo, due grandi musicisti che si conoscono e potranno interloquire rende molto interessante l’evento.


È la terza volta che incontro Uri, la seconda a tu per tu; con me doveva essere presente l’amico Guido Michelone che, dopo tanto essersi prodigato per avere questo incontro, non ha purtroppo potuto rinviare un momento di lavoro presso il Conservatorio Vivaldi di Alessandria e quindi non potrà essere presente.


A me perciò tutto il peso, per dire, di gestire la circostanza. Peraltro, mi dico fortunato perché avrò accanto, in maniera determinante, una carissima amica che ho coinvolto in quella che si rivelerà una entusiasmante avventura. Stefania – appassionata di musica – è anche una ottima interprete e quando le ho proposto di affiancarmi nell’intervista ha fatto in modo di gestire piacere e lavoro per vivere un’esperienza, inconsueta per lei, di potersi trovare a dialogare con uno fra i massimi musicisti jazz viventi.


Sì, perché Uri, oltre essere un grande della musica contemporanea, rivela una squisita personalità nelle relazioni umane. Parlare con lui, stare con lui a tu per tu, ti permette di sentire quanto sia gratificante vivere momenti, seppur brevi ed occasionali, a fianco di una persona che lascia trasparire nei gesti e nelle parole, nel suo semplice essere uomo, l’indiscutibile sensibilità d’artista e grandissimo musicista.


Puntualissimo – ed il “tempo” per un musicista è tutto – lo incontro appena oltre la soglia dell’ingresso di Via Mazzini: un abbraccio ed un vicendevole «Nice to meet you» prelude alla presentazione di Stefania. Si salutano, in inglese ovvio, ed immediatamente fluisce la conversazione a due, mentre saliamo le scale fino a un’aula del secondo piano. Qui giunti, un abbraccio caloroso di Uri e Furio Di Castri precede un rapido, generalizzato saluto agli allievi presenti che, con molta discrezione, si appartano per non “disturbare” l’intervista; pregustando però il momento della lezione che sarà loro dedicata. Anche per loro sarà una bella esperienza. Il sorriso negli occhi di Stefania, lo sguardo aperto, luminoso di Uri che si è già seduto al pianoforte, sullo “sgabello” dico io, “chair” lui mi corregge confidenzialmente, mi fa comprendere che stiamo vivendo uno di quei momenti speciali, imperdibili per chi è ricco di passione per la musica, suonata o semplicemente ascoltata che sia.


Il minuscolo Sony, a questo punto, ha registrato per quasi mezz’ora, e ci sarà poi tutto il lavoro di sbobinamento e di interpretazione da parte di Stefania. Il materiale però si arricchisce anche dell’intera “lectio” che Uri ha dispensato agli allievi, delle battute pertinenti di Furio tese non a provocare, ma a fornire spunti di argomentazione da parte del pianista. Il quale, invero, non necessita di essere molto sollecitato, tanto è chiara in lui, e nella sua esposizione, anche l’urgenza verbale di far comprendere come “vive” la sua musica e poi come la suona, donandoci l’incomparabile piacere di godere delle sue interpretazioni, e della sua arte.


A sera, nello stupendo ed acusticamente perfetto auditorium del Conservatorio, Uri ci ha poi regalato un Concerto – e la maiuscola è voluta – in cui ha saputo coniugare tutta la grandezza delle sue composizioni, frutto di una sterminata conoscenza della musica, di tutta la musica, nella sua immensa varietà, senza limitazioni e classificazioni che finiscono solo per limitarne l’importanza.


Certamente, i nostri gusti musicali ci portano a privilegiare di più una cosa rispetto ad un’altra, un autore o un genere, però godere emozionalmente di quanto la musica sa evocare è un dono che ci viene da una diversa dimensione. Il musicista dice che non finisce mai di imparare, ma altrettanto si può pur dire dell’ascoltatore appassionato: «keep open your heart» mi sento di concludere. La lezione, l’esperienza del concerto, i calorosi saluti di fine serata scambiati con Uri – ci siamo lasciati con un arrivederci – meritano di essere ripresi. Chissà, forse ci sarà un seguito. Per il momento l’ultima immagine fissa negli occhi e nella memoria è stata quell'”inchinarsi al pianoforte” da parte di Uri, quasi fosse stato lo strumento, e non invece il suo cervello, la sua sensibilità ad aver originato la grande musica che ci ha regalato. Grazie.


Jazz Convention: Brevemente vorrei farti alcune domande che riguardano l’Uomo Uri, l’artista che si è evoluto nel tempo e che sei diventato oggi, il jazz e cos’è per te la musica. Vuoi dirci anzitutto chi è Uri?


Uri Caine: Non sono sicuro di poterti dire chi è Uri, di potermi definire in qualche modo, ma so per certo che sono cresciuto a Philadelphia in un ambiente musicale molto ricco e lì si trovano le basi della mia musica; molta musica che suono oggi viene da quelle fertili radici. Da piccolo prendevo lezioni di piano e poco a poco il mio insegnate di musica è diventato il mio punto di riferimento musicale, poi mi sono ritrovato a fare il pianista in varie situazioni, suonando non solo musica jazz, ma anche tanto altro!!! Ero uno studente interessato a scoprire la musica contemporanea e mi piaceva anche la musica classica, quindi mi sono dedicato allo studio della teoria e della composizione.



JC: E poi cosa è successo?


UC: Ho continuato i miei studi all’università invece di andare al conservatorio (negli Stati Uniti c’è questa alternativa…) e una volta completati gli studi universitari mi sono trasferito a New York. Lì ho iniziato ad incontrare tanti musicisti di diversi generi musicali e ho assorbito tanta altra musica, c’era anche tanto lavoro di improvvisazione, era jazz.? Ho suonato per strada, ho iniziato a viaggiare all’estero in Europa e incontrare altra musica e tutti questi stimoli e questa nuova musica mi entrava dentro per poi esprimersi e svilupparsi nella mia personale musica. Ho incontrato tante culture, tanta musica nuova e diversa: e sto ancora imparando!



JC: Il musicista di oggi?


UC: È una persona che spera di continuare a poter suonare con gente diversa e in situazioni diverse, proprio come faccio oggi qui a Torino. Ho tanti amici e mi piace continuare così provando e mettendomi in gioco in varie situazioni, ma le persone vanno e vengono e anche le esperienze si fanno e poi passano e alcune si ripetono e tornano, altre invece si abbandonano e muoiono lì. È una continua evoluzione, un evolversi, non c’è nulla di “fisso”.



JC: Ma cosa c’è nella tua musica?


UC: Nella mia musica c’è tutto me stesso, non potrebbe esser altrimenti. Cerco di mettere la mia energia, tutta la mia forza e mi esprimo e mi sento in modo diverso a seconda delle situazioni in cui sono chiamato a suonare: solo un paio di musicisti oppure un gruppo,un’ orchestra, da solo, ecc. il desiderio è sempre quello di suonare musica, ma l’espressione cambia a seconda delle persone che incontri e con cui fai quell’esperienza. Personalmente preferisco suonare in compagnia, perché sono più abituato, ho più esperienza e mi piace l’dea di suonare in un gruppo con le sue dinamiche, relazioni e modo di interagire.



JC: Il jazz: cosa ti dice questa parola?


UC: Molti dicono che “jazz” sia solo una parola. Per me è, posso dire, come una struttura che viene sviluppata dall’improvvisazione, è assolutamente sempre musica !!, ma è difficile definirla e limitarla, direi «keep it open» ovvero lasciamo la definizione aperta alle interpretazioni e varietà della musica, ma che sia Musica in assoluto non c’è dubbio.



JC: Ma secondo te cosa importa a un jazzman quando si parla di queste cose?


UC: A un musicista non importa la definizione, è musica e basta! Non importano le parole: un musicista vuole solo suonare ed esprimersi con le note, seguire quel qualcosa che gli viene da dentro, quel qualcosa che è un insieme di esperienza, fisicità e mistero… Basta suonare perché ami la musica. Non parlate tanto di musica, ma fatela, suonate! Ricordo che c’è chi ha detto: writing about music is like dancing about architecture…



JC: Uri, come vorresti concludere quest’intervista?


UC: Finisco dicendo che amo la musica e vengo da una città in cui ce n’era molta davvero, non sapevo allora, da giovane, se avrei fatto quella strada e se avrei fatto dei soldi, sapevo solo che c’era qualcosa che mi piaceva che dovevo seguire, mi sono detto «OK, cerco la mia strada»… e così ho fatto, ma non è stato facile…