Foto: La copertina del volume
Ritratti in jazz: Michelone, Terkel, Murakami.
Tre compleanni in ballo: quello dell’autore del testo, che si avvicina al sesto decennio con un piglio, per dirla con Bob Dylan, “forever young”, quello dell’Associazione Amici del Jazz di Valenza, con cui Guido Michelone collabora stabilmente, quello dell’editore, Mariano Settembri, l’uomo e la mente dietro la sigla di Lampi di Stampa di Milano. Guido Michelone è saggista, romanziere, critico musicale, docente di storia delle musiche afroamericane. Un talento proficuamente inquieto e un poligrafo che non si ferma mai, sempre ad approfondire quello o quell’altro aspetto di musicisti noti e meno noti, per metterne in luce aspetti che, a cambiare anche di poco prospettiva, rivelano nuovi scenari. Le musiche afroamericane nel senso ampio del termine sono terreno d’elezione per le scelte d’indagine di Michelone, e non s’è usato il termine a caso, in questo caso. Perché il nuovo libro 60 Jazzisti / Sessant’anni di swingers, bluesman, boppers, freemen, crooners è dedicato alle note afroamericane nel senso più ampio del termine.
Questo significa che nelle fitte pagine del critico e scrittore piemontese – integrate da premessa e postfazione di Gianfranco Nissola – troverete sì il tratteggio biografico su John Coltrane o, per dire, Lee Morgan (il che è già meno consueto), ma scoverete anche, infiltrati nella pattuglia dei jazzisti a denominazione d’origine controllata e garantita anche gente come Eric Clapton, Brian Auger, Ami Winehouse. Che ci fanno? Ci fanno che da una vita costoro quasi ogni sera della loro vita, fortunata o infelice che sia stata o sia hanno suonato sapendo che ogni momento era diverso da quello precedente e da quello che sarebbe seguito. E se volete chiamarlo “rock”, prego, nessuno si offende. Ma l’attitudine è jazz. O meglio, afroamericana. Che significa a volte tener conto dei pentagrammi, e bene, ma sempre e comunque, invece, saper poeticamente “cogliere l’attimo” quando la musica “succede”.
E un altro pregio è che qui troverete sì i pezzi da novanta del jazz prima indicati, ma anche gente come Carlo Actis Dato, Oregon, Hasaan Ibn Ali: non esattamente figure che trovate ogni settimana in copertina alle riviste, o nel chiacchiericcio continuo dei social network. Biografie, dunque: ed è nobile arte anche saper tratteggiare divulgativamente con pochi tratti una vita che ha preso un piega piuttosto che un’altra, un’estetica musicale che all’improvviso ha avuto una torsione imprevedibile, ed ha portato ad altro. Il testo di Michelone, dunque, lo accostiamo volentieri ad almeno un paio di altro libri nati col medesimo (ma non identico: e non potrebbe essere altrimenti) spirito: quello di Studs Terkel uscito per Sellerio nel 2005, I giganti del jazz, con la prefazione di Pietro Leveratto, quello di Murakami Haruka, Ritratti in jazz, pubblicato da Einaudi nel 2013, nato assieme alle tavole colorate di gusto pop-art da parte del grafico Makoto Wada.