Young Jazz 2014. La decima edizione

Foto: Fabio Ciminiera










Young Jazz 2014. La decima edizione

Foligno – 22/24.5.2014


Il racconto della decima edizione di Young Jazz è, in realtà, una successione di immagini e riflessioni scaturite dai concerti e dal loro impatto sulla città e sul pubblico. Una città ribollente di attività – Quintana, passaggio del Giro d’Italia, chiusura della campagna elettorale – dove il festival ha avuto un ruolo preciso ed efficace nel porsi come legame tra le varie iniziative. Basta un esempio su tutti: l’area del festival, la “via del jazz” che porta dall’Auditorium San Domenico all’Info Point e a Piazza del Grano dove era allestito il palco per le esibizioni all’aperto, è stata interamente coperta dalla rete wifi libera di Young Jazz: un segnale della volontà di incidere sulla vita della città nei giorni del festival, di renderla partecipe e coinvolta. Nello stesso senso, sia pure in maniere differenti, hanno agito il “corpo armato” costituito dai tantissimi volontari dell’associazione oppure le iniziative della sezione Jazz Community: la ricerca di un dialogo e di una partecipazione forte da condividere con la città.


Immagini, si diceva. E la prima che viene alla mente è quella del palco principale, dell’Auditorium san Domenico dove si sono esibiti nei tre giorni “centrali” del festival, in rapida successione, il trio di Jakob Bro, il nuovo quartetto di Enrico Rava con Francesco Diodati, Gabriele Evangelista e Enrico Morello, Bobo Rondelli e l’Orchestrino per arrivare alla chiusura con Soupstar, il duo formato da Giovanni Guidi e Gianluca Petrella – i due musicisti che, negli anni, si sono assunti la direzione artistica del festival – raggiunti nel corso dell’esibizione da numerosi ospiti e pronti a terminare la loro esibizione lanciando una street band verso il palco esterno per il concerto serale. Un palco avvolto da una scenografia stretta intorno ai musicisti e cangiante grazie alle luci puntate sui lati della scena.


Altra immagine è quella di Beppe Scardino, protagonista di un sabato intenso, cominciato con il Secret Concert – tenuto insieme a Gabriele Evangelista e Andrea Melani su una assolata terrazza di fronte alla Taverna Ammanniti – e giunto fino al set serale del Dinamitri Jazz Folklore attraverso la versione street dell’Orchestrino, il primo set della formazione toscana e i relativi soundcheck… senza contare l’esibizione della sera precedente con il cantautore livornese.


La presenza di collaborazioni e condivisioni è una costante di Young Jazz sin dai suoi inizi. Quest’anno Musical Box, la trasmissione di Radio Due condotta da Raffaele Cosentino e curati da Federico Scoppio, ha portato una serie di producer nel programma del festival per dare corpo a situazioni di confine tra manipolazione sonora e improvvisazione: incontri sul palco per sondare le possibilità sonore di un terreno mediano.


Enrico Rava prosegue nel suo ruolo – ormai stabilmente consolidato in questo nuovo secolo – di mettersi a disposizione dei talenti emergenti dalle nuove generazioni, di guidarli insieme ad altri musicisti esperti o di costituire formazioni di soli “giovani”. La chimica musicale proposta da Diodati, Evangelista e Morello è di altissimo livello e diventa un veicolo solido per gli assoli del trombettista e del chitarrista, utile per proporre nuovo materiale o rivisitare standard e pagine già percorse. Tagliente e accondiscendente allo stesso tempo, il quartetto passa in maniera fluida dalla tradizione alla modernità: è facile immaginare come questo sia il vero obiettivo di Rava, musicista giunto in questa fase della carriera alla coscienza di un ruolo di staffetta e di rinnovamento possibile, a contatto con la vena portata dalla ricerca e dai riferimenti di una generazione più giovane. Se non tutto riesce nel modo voluto – ma non è certo il caso di questo quartetto – resta sempre l’attitudine aperta, oltre che la grande parabola percorsa dal trombettista durante la carriera, a stimolare la curiosità sulle nuove evoluzioni del suo percorso musicale.


Come di consueto, Young Jazz ha offerto uno sguardo sui nuovi progetti di alcuni musicisti emergenti del panorama nazionale. Nei tre giorni conclusivi il festival ha presentato i nuovi progetti di Cristiano Arcelli e Dan Kinzelman, il doppio set di Dinamitri Jazz Folklore e Beppe Scardino con il trio. Arcelli e Kinzelman sono due musicisti ormai maturi e solidi nelle loro direzioni: Fiori artificiali e Hobby Horse, i nomi dei due rispettivi progetti, rappresentano in pieno la capacità raggiunta di concentrare composizione e visione musicale di insieme in un formato esigente come il trio composto da sassofono, contrabbasso e batteria, la capacità di adoperare le intersezioni tra le voci e le personalità dei musicisti presenti sul palco a vantaggio del risultato complessivo. Se il trio di Arcelli è di costituzione più recente rispetto a quello di Kinzelman non viene in entrambi i casi l’idea e la gestione di un disegno che cerca con buona riuscita di rappresentare un punto di vista personale e di esprimerlo in un repertorio ben calibrato. Il secret concert tenuto dal trio formato da Beppe Scardino al sax baritono, Gabriele Evangelista al contrabbasso e Andrea Melani alla batteria ha dato una ulteriore visione di questo formato. Su una terrazza assolata dalle prime avvisaglie estive, la musica proposta dai tre si muove con leggerezza, in un costante rapporto con gli spunti melodici e lineari, una visione senza strappi, rivolta a dare respiro agli incroci timbrici degli strumenti e delle linee seguite da ciascuno degli interpreti.


Dinamitri Jazz Folklore ha dato sfogo nei due set tenuti alle due anime che convivono nel gruppo guidato dal sassofonista Dimitri Grechi Espinoza, la ricerca e il divertimento, la sperimentazione scevra da compromessi de La Società delle Maschere e la forza del groove: un ensemble ampio e senza contrabbasso, dove si confrontano percussioni, corde, fiati, tastiere con l’obiettivo di creare una “macchina” sonora unitaria, compatta, dalla quale, in pratica, è difficile se non impossibile estrapolare i singoli elementi. E, soprattutto nella sessione pomeridiana, la forza di questo corpo solidale nei suoi movimenti e compatto nello sviluppare il discorso si manifesta nell’aspetto più rigoroso delle composizioni, nell’intuizione scenica di indossare maschere che “spersonalizzano” i singoli per dare risalto al gruppo.


Non è mancato, in occasione del decennale, lo spazio dedicato alla scena norvegese: la presentazione de Il suono del Nord di Luca Vitali e il concerto di Overseas, la formazione guidata dal contrabbassista Eivind Opsvik, con la presenza di Tony Malaby ai sassofoni, hanno rinnovato con due interessanti visioni – la prima attraverso le parole, le analisi e le fotografie dell’autore; la seconda con una musica attenta a far convogliare ispirazioni differenti in una sintesi mai banale – il rapporto che unisce Young Jazz al panorama jazzistico del paese scandinavo.


Tornando al palco principale, la chiusura di Soupstar è stato quindi il modo per fare un sunto delle varie stagioni del festival. I due musicisti che si sono avvicendati alla direzione artistica, uniti in un percorso che li vede attivi su palco e su disco da diverso tempo e basato sulle possibilità di una improvvisazione libera, curiosa, capace di puntare in mille direzioni e di disinteressarsi di schemi precostituiti. La presenza sul palco di ospiti presenti nelle altre tappe del festival o nelle precedenti edizioni, di amici e collaboratori nei vari gruppi promossi da Guidi e Petrella ha arricchito questa linea.


L’immagine finale è per l’ultimo momento del festival. Al momento dei saluti, al termine del notevole concerto di Cristiano Arcelli, in una affollatissima Taverna Ammanniti, la torta per i dieci anni di Young Jazz. Oltre al momento conviviale, è stata un’altra misura della forza di Young Jazz con la folla assiepata dentro e fuori il locale, per il concerto e per l’idea di esserci, per la vicinanza alla rassegna e, certo, anche per la bontà notevole della torta stessa. Una presenza radicata, peraltro, nelle fasce più giovani quando altrove spesso si lamenta l’aumentare dell’età media del pubblico.