Dhafer Youssef – Birds Requiem

Dhafer Youssef - Birds Requiem

Okeh-Sony – 8898721842 – 2013




Dhafer Youssef: oud, voce

Hüsnü Senlendirici: clarinetto

Nils-Petter Molvær: tromba

Eivind Aarset: chitarra elettrica, elettroniche, 2nd ear

Aytac Dogan: qanoon

Hrist Jan Randalu: piano

Phil Donkin: contrabbasso

Chander Ssard Joe: batteria






Album che non sarà gratificato da frettolosi ascolti sui preview digitali, che ne suggeriranno un’amorfa cittadinanza nelle già vaste e spesso infide lande New Age, Birds Requiem se posto più congruamente a fuoco non mancherà di donare più d’un appagamento alla curiosità conoscitiva.


Lavoro a programma, esso è ideale colonna sonora di un immaginario e personale film “concepito intorno a due entità, me e la mia continua ricerca dell’anima errante, a simboleggiare l’idea della dissoluzione del corpo e il vagare dell’anima: quest’idea si riflette anche nell’immagine degli uccelli raffigurati nel corso dei brani e delle immagini dell’album”, e corona anche del solista tunisino i più recenti, variegati percorsi non solo medio-orientali ma anche centro-e nord-europei, in parte condensati nella fascinosa, presente line-up.


Progressione a cornice, che ribadisce e rielabora in varie guise emotive il vago ma dominante tema aviario, ispirazioni formali pescanti dal canto Sufi e dal profondo colore del mixing in jazz, palesando un’alterna sintesi segnata dal gioco delle parti dell’ipnotico e misticheggiante falsetto vocale e delle risonanti corde di Youssef, di corposo e dilatato incedere acustico nel doppiaggio con le bronzee liquidità del piano di Hrist Jan Randalu e le rare uscite del qanoon di Aytac Dogan, e nel contrappunto con tromba e clarinetto già in apertura, condotta in forma incruenta da Sweet Blasphemy, quindi in più increspata trasparenza nel lirismo orientalista di Blending Souls & Shades.


La pausa di ristoro e ripresa tematica nella solenne Fuga Hirundinum, introdotta dagli equilibri gracili e meditativi di Ascetici Mood, prelude al ravvivarsi delle fiamme in 39th Gulay – to Istanbul, teso su slanci e propulsioni apertamente rockeggianti, di particolare centralità e spiccato groove segnato dal drumming netto, e tonificato dalle tese e lancinanti (ma alla lunga un po’ spersonalizzate) uscite elettriche di Eivind Aarset, ma soprattutto dalla scultorea prestazione del corposo clarinista turco Hüsnü Senlendirici, che segna con personalità la sua partecipazione al combo. Un Nils-Petter Molvær in tangibile forma si dispone a interventi di sensibilità cameristica così come a più smaltate emersioni del suo ottone, non mancando di disposizioni mimetiche in Sevdah (to Jon Hassell) impersonando con sfumato e granuloso nitore lo spirito acustico del profeta dell’electro-world in codesta dedica-portrait, di paludoso e grondante soundscape.


Contemplativa dilatazione dei climi, più in linea con il programma testuale, nella rarefatta Ascetic Journey, ancora segnata dalle elettroniche e dalle corde di Aarset, aprente il compunto e crepuscolare congedo Whirling Birds Ceremony, drammaticamente convergente verso le mistiche declamazioni del breve, catartico epilogo.


Lo sviluppo non manca di iterazioni e indugi, specie nelle riprese del dominante tema, ma le differenti trovate e gli assortiti arrangiamenti argomentano variamente il composito carattere della suite; per quanto attiene alle esplorazioni sul proprio strumento e le relative interfacce, Dhafer Youssef si staglia in una differente posizione rispetto alle miscellanee spesso spregiudicate di Abou-Khalil o allo spirito di ricerca nella tradizione di Anouar Brahem, conferendo comunque al proprio linguaggio un meticcio carattere esplorativo e al contempo fruibile, donando alla propria identità entro il World una fisionomia a radici aperte, apprezzabilmente ispirata nell’incarnare forma stilistica e corpo progettuale.