Winter & Winter – 910 197-2 – 2013
Ernst Reijseger: violoncello, voce
Harmen Fraanje: pianoforte
Mola Sylla: voce, m’bira, xalam, kongoma
Down Deep è un lavoro che supera concetti come trasversalità musicale o sincretismo culturale. Un dialogo a tre voci che toccano, intercettano, mettono a confronto, squadernano, trovano punti di contatto e rimarcano approcci differenti: Ernst Reijseger, Harmen Fraanje e Mola Sylla intrecciano esperienze e retaggi culturali, voci e strumenti, tradizioni sedimentate e curiosità personali in un lavoro prezioso e sempre capace di emozionare, capace soprattutto di coinvolgere tanto la sfera emotiva che quella razionale dell’ascoltatore, di suscitare sensazioni differenti nell’ascoltatore a seconda del suo stato d’animo.
La sintesi si realizza grazie all’apertura e alla disponibilità al dialogo. E, ancor prima, al costante, attento e rispettoso ascolto reciproco. Lo si capisce quando il trio si sofferma su frasi ripetute in maniera circolare: si avverte il senso di attesa degli stessi protagonisti, la necessità di non sovrapporsi per lasciare spazio al “narratore” e alla sua storia. Le combinazioni – timbrica, semantica, ritmica, storica – degli elementi lasciati convergere dai tre protagonisti è praticamente infinita e la forza di interazione – la connessione tra le vibrazioni scaturite dalle frasi e dalle note – è tanto stretta da rendere naturale il fluire del disco, dare corpo e intensità ad ogni passaggio, offrire ad ogni ingrediente il rispetto che merita.
Voci e strumenti utilizzate per creare un substrato di suoni e rumori sul quale si sviluppano i racconti dei solisti: la musica come momento di condivisione di storie e sensazioni. Down Deep è un dialogo libero dalle costrizioni e dalle forme, rispettoso a suo modo di regole non scritte o, quanto meno, attento a non sovvertire le modalità dell’ascolto reciproco tra i protagonisti, come si diceva sopra: Reijseger, Fraanje e Sylla sono anche guide scrupolose per l’ascoltatore all’interno di un mondo espressivo dove sono pochi gli elementi che restano al posto solitamente assegnato. E, al termine del disco, le note malinconiche e ripetutamente scandite di Her eyes – uno dei momenti, forse, più canonicamente riconducibili a un genere, nello specifico a un certo camerismo contemporaneo – rimandano gli echi e le sensazioni dell’intero percorso, dopo avere assunto su di loro tutto il senso del dialogo svolto fino a quel momento, la mutua influenza che ogni elemento ha comportato sugli altri.