ACT Music – ACT 9563-2 – 2014
Michael Wollny: pianoforte, clavicembalo
Tim Lefebvre: contrabbasso
Eric Schaefer: batteria
Theo Bleckmann: voce, live electronics
Un repertorio notturno – Weltentraum in tedesco significa “mondo dei sogni” – e scelto in maniera assolutamente trasversale caratterizza la nuova prova di Michael Wollny. Il pianista tedesco sceglie brani di provenienza estremamente differente e in maniera ancora più visibile rispetto a quanto fatto in Wasted & wanted, il più recente disco del trio [em], dove gli originali, pur intervallati da musiche di Schubert, Mahler, Berio e Kraftwerk, erano comunque in proporzione maggiore. Solo due delle quattordici tracce di Weltentraum sono firmate dal leader, oltre a un arrangiamento di un tradizionale: se Lasse! di Guillame de Machaut è l’unico brano risalente al quattordicesimo secolo, il resto delle scelte si divide in uno sguardo al novecento contemporaneo, con temi di Alban Berg, Paul Hindemith, Edgar Varèse e Wolfgang Rihm, una puntata nel tardo ottocento con i due Fragment an sich di Friedrich Nietzche e in un lavoro di trasformazione radicale di alcune canzoni provenienti dal pop e dalla canzone d’autore come Be Free, A Way dei Flaming Lips, Little Person di Jon Brion, In Heaven di Peter Ivers e God is a DJ di Pink – non quella dei Faithless – arricchita quest’ultima dalla presenza della voce di Theo Bleckmann.
La presenza di Tim Lefebvre al contrabbasso sposta alcuni riferimenti rispetto al trio [em]: una visione più morbida e pacata offre sponde meno consuete all’energia incalzante dello stile di Wollny. In qualche modo, è il riflesso della scelta stilistica operata nei brani, rivolti verso una dimensione lirica, sognante e spesso eterea. Le frasi frastagliate di Wollny, i suoi crescendo stentorei, la sua capacità di mantenersi in equilibrio sulle molteplici spinte stilistiche dei suoi tantissimi riferimenti e l’intenzione forte del pianista di operare negli assolo la sintesi di tutte queste anime, sono gli elementi utilizzati da Wollny in una dimensione meno aggressiva o, meglio, dove la sua forza espressiva e il vigore, così come l’approccio frontale e solido di Eric Schaefer, hanno maggiore spazio. Per mantenere la tensione, i brani vengono conclusi quasi tutti in un arco temporale breve – tre o quattro minuti – e il lavoro di arrangiamento e, ancor prima, la concezione estetica complessiva guidano un discorso musicale articolato quanto compiuto e rigoroso.
La concezione estetica complessiva si manifesta come ovvio in maniera più incisiva nella trasformazione dei brani provenienti dal pop, brani accomunati peraltro quasi tutti dalla presenza in colonne sonore cinematografiche. Se Little Person, inserito in Synecdoche di Charlie Kaufman, viene eseguita in maniera simile all’originale e In Heaven, frutto della collaborazione di Ivers con David Lynch, è il veicolo utilizzato per esplorare il lato blues del trio, Be Free, A Way e God is a DJ sono le tracce che conoscono un lavoro più profondo di trasformazione: spogliati di ogni orpello, degli stilemi proveniente dalla produzioni originali, ricondotti alla pura essenza melodica per diventare, poi, punto di partenza per disporre e dispiegare la voce del trio. Lo stesso procedimento viene applicato, in maniera puntuale, anche ai brani classici: la riduzione della matrice originale agli elementi essenziali – linee, frasi, spunti espressivi – messi a disposizione del trio, delle sue combinazioni timbriche, della gestione ritmica, del disegno generale.
Se lo stesso Michael Wollny afferma che «l’idea alla base dell’intero album era raccogliere “canzoni”» e, in questo, potrebbe sembrare l’ennesimo passo verso la traduzione jazzistica di brani altri – intesa secondo la sensibilità di ciascun interprete – e verso la definizione di nuovi standard, Weltentraum offre una diversa maniera di intendere il processo, mirata, in altre parole, non tanto alla costruzione di un repertorio, quanto al disegno di un processo operativo di revisione e manipolazione dei brani, al raggiungimento sotto altre forme di quella sintesi tra riferimenti colti e pop, contemporanei e passati, in un gioco sottile che utilizza elementi sedimentati da ascolti e interventi di altri esecutori, la ricerca degli ingredienti basilari di ciascun brano e, Come ovvio, le connessioni – razionali o informali, logiche o sensibili, mirate o sghembe – instillate dall’esecutore.
Nel complesso molto coeso e coerente del disco, la conclusione affidata a God is a DJ di Pink – diventa a tutti gli effetti una sorta di bonus track: la presenza della voce, ma anche del clavicembalo e dell’elettronica; la lunghezza del brano – quasi otto minuti – e la conseguente dilatazione dei momenti; la differente disposizione dei vari tasselli. Una manifestazione alternativa del medesimo processo più che un corpo estraneo: una maniera per completare il ragionamento e portare su disco la collaborazione con un performer di eccezione come Bleckmann, e per aggiungere al ragionamento portato avanti nei precedenti tredici brani, rigorosamente in trio ed acustico, elementi presenti, sia pure ai margini, del mondo sonoro di Michael Wollny e farli convergere in un lavoro capace di rivelare nuove letture ad ogni ascolto.