Foto: Lisa Kohler, dal sito internet dei Chanticleer www.chanticleer.org
Chanticleer, la definizione della musica corale.
Intervista con Curt Hancock.
Ravello, Merano, Vercelli sono i teatri italiani del recital dei dodici Chanticleer, gruppo vocale multietnico di San Francisco, in grado di spaziare attraverso ogni genere con un virtuosismo canoro che è ai vertici assoluti in ambito internazionale. Jazz Convention presenta in esclusiva un’intervista completa al professor Curt Hancock, uno dei membri della formazione, che con simpatia e competenza – come se si stesse assistendo a una lezione di musica – parla a ruota libera della propria esperienza artistica.
Jazz Convention: Curt, quali sono i primi ricordi che ti vengono in mente a proposito della tua musica che hai sentito per la prima volta?
Curt Hancock: Il primo effettivo ricordo che ho di qualsiasi tipo di musica era un brano elettronico di musica natalizia che era stato sincronizzato con le luci di albero di Natale in famiglia. Mi piaceva ballare al suo ritmo e inventare passi di danza. Un altro tra i primi ricordi: cantavo con un apparecchio di karaoke quando avevo circa anni. L’unico modo che mi è stato permesso di cantare con mio fratello era quando potevo usare un multi-traccia e fare le armonie s sulla parte alta delle sue melodie creative.
JC: Chi o cosa ti hanno spinto a scegliere la professione del musicista?
CH: Merito soprattutto del mio insegnante di scuola corale. Il coro è un’attività molto sociale e ho amato ogni minuto di quell’esperienza. Gli amici, i viaggi e l’amore per le belle arti sono stati i motivi iniziali per fare concerto in coro, ma ben presto mi sono trovato nell’ufficio del preside a discutere su questioni di programmazione a causa del fatto che avrei voluto frequentare tantissime ore di lezione di coro – molte di più di quelle programmate – per gli ultimi tre anni di scuole superiori. Il mio insegnante di scuola corale è stato dunque una fonte inesauribile di ispirazione per me.
JC: Quindi l’insegnamento è stato per te come una molla…
CH: In quel periodo della mia vita, avevo davvero bisogno di qualcosa per appartenere a… ciò che è stato poi. Questo insegnante ci ha infatti permesso di contestualizzare la musica – per scavare in profondità nel testo di un brano musicale e capire cosa stava succedendo nella storia umana durante il periodo storico in cui il pezzo è stato scritto. Mi ha affascinato e non ho potuto ottenere abbastanza. La musica vocale ha cambiato la mia vita e mi ha dato ampie opportunità di lavorare con gli altri come una squadra, cosa che ho trovato fondamentale come dovessero essere preziose lezioni di vita. Ho quindi deciso di continuare i miei studi dopo la scuola superiore nel campo dell’educazione musicale ed eccomi qua.
JC: E ora sei uno dei Chanticleer. Ma cosa vuol dire idealmente Chanticleer?
CH: Chanticleer ha molte definizioni e molte finalità, Senza false modestie è il picco più alto della musica corale in America. Nessun gruppo negli Stati Uniti – o forse nel mondo, penso – fa quello che facciamo noi. Siamo un marchio unico, impiegando controtenori, soprani e contralti per preservare i suoni della polifonia rinascimentale. Spingiamo i limiti di generi, linguaggi, scuole, tendenze e spesso mescoliamo di proposito stili di musica vocale diversa. Noi siamo educatori appassionati e oltre cantare vogliamo accogliere in questo mondo corale, facendo partecipare la gente alle masterclass, tenendo concerti-lezione, organizzando festival di giovani corali e istituendo laboratori corali per condividere la gioia del canto e dei segreti del successo della musica da camera. Chanticleer tiene più di cento concerti l’anno in tutto il mondo che hanno cambiato la vita di milioni di persone da quando il gruppo è nato, cioè nel lontano 1978.
JC: C’è un momento esaltante della tua carriera di cantante per Chanticleer? So che sono tanti. Dimmene uno solo, però…
CH: Senza dubbio cantare polifonia rinascimentale in uno spazio che è stato specificamente progettato per questo tipo di musica. Notevole. Ho versato qualche lacrima sul palco quando l’energia è giusta;del resto è qualcosa che ti travolge e ti fa perdere il controllo emotivo.
JC: Tra i molti album che Chanticleer ha registrato, quale ami maggiormente?
CH: La registrazione del nostro nuovo album in studio, Someone New dovrebbe essere, al momento, il mio progetto discografico preferito. La struttura dello studio Skywalker Sound è stupenda e avevamo ingegneri del suono di livello mondiale che ci hanno aiutato a ogni passo del cammino musicale; e il tutto si è tradotto in un prodotto straordinario. Sono tate del resto lunghe faticose giornate in studio, ma valeva la pena, ogni minuto è stato prezioso ed essenziale.
JC: Come definiresti la musica di Chanticleer?
CH: Eclettica in natura. Fin dalla nascita di Chanticleer, il gruppo è stato ampiamente conosciuto ovunque per le interpretazioni e i concerti di musica antica. Joseph Jennings, il precedente controtenore nonché direttore artistico del gruppo, ha ampliato il repertorio fino a includere jazz, gospel, spiritual, pop, rock e folk. I nostri programmi in tournée comprendono molti stili diversi – anche in molte lingue differenti – per soddisfare ogni nostro pubblico. Alcuni in platea amano la musica antica, mentre altri ritengono che gli ultimi dieci minuti del nostro programma è siano più divertenti perché contengono di solito i nostri arrangiamenti dei motivi più contemporanei.
JC: In quali modi Chanticleer canta appunto jazz, gospel, spiritual, pop, rock e folk rispetto alla Musica Antica?
CH: La musica di periodi come il Medioevo e il Rinasciment richiede una vocalità pure a causa della chiarezza del testo richiesto dalla Chiesa. Noi tendiamo a cantare dritto in tono così, e per questo riusciamo a per sintonizzarci meglio con gli accordi. Bisogna ricordare che la musica sacra scritta nel corso del secoli XIII fino a tutto il Cinquecento è per la Chiesa di fondamentale importanza, e la chiarezza del testo risulta altrettanto importante quanto il suono. Il colore vocale che abbiamo scelto per questo stile è anche un po’più luminoso. Jazz, pop, folk, spiritual richiedono altra diversa dizione: e si tratta di un tipo di dizione è morbido, più rilassato e in forma di discorso; le vocali sono più basse e talvolta le consonanti non contano tanto. C’è una diversa energia presente quando cantiamo la musica popolare d’oggi perché è permessa maggior libertà, cioè di avere più carattere perché questo è lo scopo, storicamente parlando, lungo l’intero Novecento e oltre: ed è anche il modo ?naturale’ di presentare i generi stessi La musica antica è più sottomessa a prestazioni ?obbligate’ perché all’epoca la Chiesa non era interessato a uno “spettacolo”, mentre era invece interessata al testo che veniva cantato in quanto esso serviva come una preghiera innalzata a Dio o come un tipo di ministero per la congregazione.
JC: Cos’è per te il jazz e cosa ami di più della musica jazz?
CH: Il jazz è una miscela di musica americana ed europea. È esplosa a cavallo del XX secolo a New Orleans, dove la trama alla base forniva il supporto al solista per improvvisarvici sopra. Queste trame musicali includevano pianoforti, clarinetti, tromboni, batterie, eccetera. La musica è caratterizzata dalle cosiddette blue notes (di solito terze, quinte e settime, che sono leggermente e appiattiti per qualità espressive), dalle sincopo e da un linguaggio armonico che comprende sesti, settimi, noni e tredicesimi gradi della scala, di solito impilati su triadi. Chanticleer canta jazz spesso, e questa musica è molto speciale per noi, perché il nostro Direttore Musicale Emerito, Joseph Jennings, ha di proposito introdotto questa musica nel repertorio di Chanticleer scrivendo alcuni accordi in stile jazz per chi vorrà anche in futuro cimentarsi nel coro. Il linguaggio armonico è così ricco e colorato da cantare che ci vogliono buone orecchie per accordare gli strumenti. Il ritmo è eccitante quando si ottiene il “groove” e impose le battute, il tutto inizia ad animarsi. Assolo e strutture melodiche si improvvisano e questo è importante per noi perché dimostra un senso di libertà che gli afroamericani storicamente utilizzano come presa emotiva contro l’oppressione e i tempi duri che hanno affrontato nel corso dei secoli.
JC: Che idee, concetti o sentimenti associ all’arte di cantare?
CH: Questa domanda vale una tesi di laurea! Per me, l’ascolto è l’aspetto più importante del canto corale. Naturalmente, c’è bisogno di una grande voce per cantare che si fonda con gli altri, ma il tutto richiede anche un buon orecchio, al fine di modificare la propria voce al servizio dell’idea corale, che è un vero e proprio ?ambiente’. Occorre aver cura di se stessi, aver voglia di essere il migliore che si possa essere. Bisogna praticare il proprio strumento (la voce in questo caso) e operare con spirito professionale, anche durante l’apprendimento. Quando il tuo insegnante di musica suona come un disco rotto, trovane subito un altro che ti fornirà una nuova prospettiva. Ripetere il processo sino alla perfezione. Prendi le informazioni pertinenti e gli insegnamenti offerti a te stesso e metti a correre a volare in alto con tutto questo bagaglio culturale. Non capisco perché la gente voglia stare con un insegnante di canto per anni e anni. Sì, alcuni possono avere cose pazzesche da dire tutto il tempo e non si annoieranno, ma questo limita la loro formazione e in particolare lo sviluppo musicale delle loro orecchie, del modo di percepire e condividere la musica.
JC: Ma come vedi, in generale, il presente della musica?
CH: Penso che la musica classica sarà sempre viva e riuscirà sopravvivere più a lungo di ogni altro genere, ci sono orchestre e cantanti classici ovunque per eseguire la musica dal vivo. C’è qualcosa di miracoloso che riguarda i musicisti classici che suonano dal vivo: il suono è in maniera esponenziale assai più melodioso di quello di una registrazione. La musica classica oggi è raramente insegnato alle giovani generazioni, e forse non siamo più in grado di circondare i nostri bambini con questo tipo di musica: se venisse eseguita in uno spazio familiare (e perciò indelebile nella memoria), credo che si ricorderanno di Bach, di Mozart o di Gershwin e Coltrane per il resto della loro vita.
JC: Che tipo di concerto proponete in questi giorni?
CH: Stiamo presentando in Europa un programma intitolato, “The Gypsy In My Soul” che è un viaggio di esplorazione, dall’amore al cammino personale e spirituale, come uno spirito errante. La vita è un viaggio che ci porta in luoghi variegati sperimentando culture e credenze diverse. Le nostre anime sono costantemente trasformate in qualcosa di più bello o di più raffinato da tutto ciò che abbiamo imparato e incontrato nella nostra vita, e il nostro programma concertistico in un certo senso comprende tutte queste idee. La musica che ascolterete sarà eclettica: polifonia rinascimentale, madrigali i, musica orchestrale adattata per Chanticleer, canzoni popolari ungheresi, chansons francesi, un pout-pourri di pezzi spagnoli, un altro dall’Europa orientale, e infine una selezione di canzoni popolari, jazz, gospel e spiritual.
JC: Che progetti hai per il futuro sul piano musicale?
CH: Sono un educatore. Mi piace lavorare con i ragazzi delle scuole superiori. Alla fine, mi piacerebbe tornare a scuola e ottenere un dottorato in direzione o pedagogia vocale. Sto imparando sempre e penso di non smettere mai. La voce come strumento riesce sempre a incuriosirmi e la mia incessante curiosità approda e (prospera) nei luoghi del mondo accademico. Sarò sempre coinvolto con un certo tipo di musica vocale per il resto della mia vita. Garantito.
JC: Riconosci di avere dei punti di riferimento tra i compositori del passato?
CH: Non sono sicuro di avere veri e propri “maestri” nella storia della musica. Ho però alcuni compositori preferiti: Palestrina, Byrd, Schütz, Monteverdi, Händel, Mozart, Schumann, Pearsall, Rheinberger, Mäntyjärvi, Duke Ellington e la lista potrebbe continuare quasi all’infinito…
JC: E tra i gruppi corali hai qualche preferenza?
CH: I Sixteen sono sempre grandi. Polyphony ha un suono meraviglioso. I King Singers sono ormai classici e sono cresciuto ascoltando loro. L’Oxford Camerata è un gruppo che molte persone conoscono, ma la loro tipologia di interpretazioni di musica antica è stellare. Ci sono sempre nuovi gruppi che si formano e altri vanno in pensione, così a volte è difficile tenere il passo! Spero di formare anch’io un gruppo nuovo, un giorno!