ECM Records – ECM 2348 – 2014
Jean-Louis Matinier: fisarmonica
Marco Ambrosini: nyckelharpa
Non soltanto l’arcipelago ECM è costellato da dualità improntate ad espressività erudita quanto spontanea e vitalissima (ampia peraltro la forbice stilistica che ha compreso i Jarrett-Haden, Towner-Peacock, Gismonti-Vasconcelos quanto i diversamente cameristici Trovesi-Coscia, Seim-Haltli – ma la lista è estesa assai) e su questa ampia ed informale scia viene a collocarsi l’esperienza del presente duo franco-italico.
Tra i giovani leoni dello strumento a mantice, il parigino Jean-Louis Matinier ha conferito crescenti articolazioni al proprio sentire incrociando le rotte di spiriti curiosi tra cui Louis Sclavis, Michel Godard o Anouar Brahem, accomunati quanto meno dal meticciato di stile.
Dichiaratamente tra i pochissimi cultori dello strumento al di fuori dell’ambito scandinavo, Marco Ambrosini palesa grande perizia non solo accademica alla Nyckelharpa, retaggio vivo di medievalismi itineranti peraltro ampiamente praticati negli ensemble “antiqua” di cui è animatore, quali Oni Wytars, laboratorio assai esposto di alchimie neo-filologiche, oltre alle file degli antiquaristi di casa ECM, da Susanna Wallumrød a Rolf Lislevand.
Guizzante l’esordio in tùrbine danzante, abile a forgiare un’agile sintesi tra le frenesie di città, i tempi dispari balcanici, le solarità del Sud del mondo (la brillante Wiosna), introducendo la dilatazione della dimensione cosmica delle danze itineranti del profondo Medioevo (Basse Danse) o della devozione pietistica (Qui est Homo), puntando al cuore della lettera compositiva nel sonatistico Presto di J.S. Bach, reinfuso, come nell’eponima, bachiana Inventio, d’arioso intimismo accortamente esentato da piraterie revisioniste, così come del seicentista austriaco H.I.F. Biber si torna a svelare il potenziale magmatico e “hot” come da spirito compositivo dell’epoca – le Sonate del Rosario, a dispetto del quieto ed ecclesiale titolo sono materia calda per potenziale interpretativo, come già esemplificato dall’incendiaria coppia Barry Guy-Maya Homburger.
Incarnando il respiro profondo della nenia della provincia europea (Oksu), incorporando pulviscolari sentori da comminato notturno (la conclusiva Sicilienne), il duo svela estri in libertà nei creativi divertissement delle due Tasteggiata: percussivo il respiro del corpo dell’accordion, crepitante ed occhieggiante come un tappeto di brace, virtuosistico e di estrema carnalità il carattere del ligneo e multicorde strumento nordico, e il convergente, comune itinerario acustico ne riesce labirintico come una complessa costruzione naturale, vorticoso come le correnti acquee naturali e i flussi del tempo.
«La sfida del cimento in duo consente grande libertà, immediate reazioni, dialogo totale, apprezzamento del tempo e del silenzio» nelle premesse dei due, e tale formula d’incontro si rivela momento non solo di sinergia, ma di verifica reciproca e verità: minimalismo di segni e matrici del passato, contemporaneità apparentemente sgombra da barriere canoniche appaiono fra i vari ingredienti di una formula che se “non” è jazz (pur con tutte le dissoluzioni concettuali e formali che il “genere” continua ad attraversare) vi è affine nello spirito di ricerca istantanea e per l’intimo gusto di commozione e sorpresa.