Dino Betti Van Der Noot incontra gli studenti del Master in Comunicazione Musicale

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Dino Betti Van Der Noot incontra gli studenti del Master in Comunicazione Musicale


Venerdì 31 gennaio 2014, Dino Betti Van Der Noot ha incontrato gli studenti del Master in Comunicazione Musicale per la cattedra di Storia della Musica Afroamericana tenuta dal Prof. Guido Michelone presso l’Università Cattolica di Milano. Il veloce dialogoriportato di seguito è la trascrizione della chiacchierata tra il compositore e gli studenti



Studenti Master in Comunicazione Musicale: Dino Betti, come è arrivato alla musica?


Dino Betti Van Der Noot: Ho fatto il pubblicitario (campagne per Duracell, Bauli, GS), le cose che funzionano meglio sono quelle meno sull’onda, quelle fuori dal volume. Lo spot di Bauli per esempio ha rovesciato la concezione del Natale perché da Natale faticoso è diventato un Natale degli affetti grazie al “coro”. Ho imparato a suonare il violino ma non ero abile con questo strumento quindi ho studiato in Bocconi dove ho fondato il “Jazz Club Bocconi”. Poi ho suonato la chitarra, quindi il contrabbasso, il flauto, il sax.



SMCM: E il suo avvicinamento al jazz?


DBVDN: Giorgio Gaslini nel 1957 aveva composto un brano intitolato “Tempo e Relazione opera 12” con commistione tra musica contemporanea e jazz. Bruno Schiozzi aveva consigliato al maestro di scrivere brani originali e non di arrangiare i preesistenti. E infondo anch’io ho seguito questa strada.



SMCM: La prima grande soddisfazione avuta con il jazz?


DBVDN: Il mio primo disco “Midwinter’s Night Dream”; e nel 1986 un altro mio disco terzo tra i “Best of the year in USA”, l’anno dopo addirittura secondo “best of the year”.



SMCM: Cosa si prova a comporre, suonare o fare musica?


DBVDN: C’è paura nel momento in cui si crea qualcosa di nuovo…



SMCM: E per lei il jazz cos’ha di tanto speciale?


DBVDN: Il jazz ha nel suo DNA la necessità di farsi capire immediatamente diversamente dalla musica contemporanea: e da musica di consumo si è trasformata in musica d’arte. Già alla fine degli anni Venti con Armstrong e poi con Ellington, il jazz cominciava a trasformarsi in musica d’arte. Si cerca di trasmettere poesia, parlare alla pancia della gente anche quando apparentemente si tratta di musica aulica. Poi durante i Quaranta il jazz è diventato anche musica politica.



SMCM: Ci sono significati letterari nei suoi dischi?


DBVDN: La musica è asemantica per definizione, cosa diversa dall’opera perché ci sono le parole e c’èlo spettacolo. Prendiamo ad esempio le mie opere preferite, che sono il Don Giovanni e le Nozze di Figaro di Mozart, il Falstaff di Verdi, il Rosen Cavalier di Strauss. In ognuna c’è un messaggio molto preciso e molto umano: per il Don Giovanni c’è un Ulisse settecentesco, in Figaro ci sono molti problemi, nel Falstaff c’è un vecchio cavaliere fuorigioco che disperato e illuso finge di non esserlo, nel Rosen Cavalier invece c’è un terzetto finale dove ci sono due giovani che hanno trovato la loro strada e dall’altra parte c’è un maresciallo ormai in là negli anni che rinuncia all’amore di uno dei due giovani.



SMCM: Tuttavia, già nei suoi dischi, si avverte un’eco letteraria…


DBVDN: Se non ci fosse la poesia, la vita sarebbe molto più povera e infatti molto spesso, proprio nei titoli dei miei brani, amo ricordare delle poesie: in “September’s New Moon” cito D’Annunzio con “Anche agosto, anche agosto è andato per sempre” ovvero che la vita passa in un attimo e la metafora della vita è agosto. Quindi vorrei dare possibilità d’interpretazione della musica all’interno del brano. Anche il mio ultimo disco si intitola con una citazione, questa volta di Shakespeare “The Stuff Dreams Are Made On” (noi siamo fatti della stessa materia dei sogni).



SMCM: Lei da tempo ha rinunciato a suonare uno strumento.


DBVDN: Sì, non suono più ma compongo e compongo ad esempio con un’orchestra di 21 elementi, compresa l’arpa bardica che è come quella celtica ma con le corde metalliche. Cerco un suono originale, peculiare, che si è modificato da un po’ di anni, quando la parte tematica e lo sviluppo erano estremamente duri, lasciavano sì spazio ai solisti ma senza interagire; ora invece c’è più interazione e modo diverso d’improvvisare.



SMCM: Alla fine come definirebbe la sua musica?


DBVDN: Il jazz è la musica dell’attimo mentre io cerco di comunicare un percorso, una storia: gli altri dilatano momenti singoli, io riassumo delle storie. Ma non cerco la perfezione. La perfezione è bella ma stupida. Melodia, armonia e timbrica. Just to amuse a muse.