Roberto Magris Septet – Morgan Rewind: A Tribute To Lee Morgan Vol. 2

Roberto Magris Septet - Morgan Rewind: A Tribute To Lee Morgan Vol. 2

J-Mood Records – JM 007 – 2014




Hermon Mehari: tromba

Jim Mair: sax tenore, sax soprano, flauto

Roberto Magris: pianoforte

Peter Schlamd: vibrafono

Elisa Pruett: acoustic bass

Brian Steever: batteria

Pablo Sanhueza: congas, percussioni






A Tribute To Lee Morgan Vol.1 (J-Mood Records, 2011) fu il primo corposo omaggio realizzato dal pianista e autore triestino al precocemente scomparso astro della tromba, la cui esistenza fulminante, se non fu breve come quella del leggendario ascendente Clifford Brown, altrettanto drammaticamente si concluse, concedendogli solida visibilità almeno nelle falangi di Dizzy Gillespie e Art Blakey, e con i primi due permanendo un modello del solismo ma più in generale del sentire hard bop.


Di notevole dimestichezza con le scene statunitensi, segnatamente Kansas City, il talentuoso pianista ne opera il sequel rinnovando la line-up pressoché totalmente rispetto all’analoga esperienza, con l’eccezione della fedele bassista Elisa Pruett, elargendo nel lavoro in doppio album ulteriori e copiosi flussi dinamici (oltre che omaggiare il Maestro con due contributi a propria firma e “ben in parte”).


Vivacizzando la progressione d’insieme con il colore e le alonature di un mobile apparato ritmico, fondato non soltanto sul gioco di drumming aperto della batteria, ma anche dalle movenze afro-latine del kit percussivo, nonché dalle lamine del vibrafono, si pone in azione e in interazione reciproca coinvolti e funzionali elementi di una macchina sonora abile a garantire la funzionalità di un programma le cui ambizioni sono in buona sostanza coronate dall’esito.


Maggior esposizione solistica è naturalmente a carico dell’ottone di Hermon Mehari, che impersona la visionarietà del solista-dedicatario con composta presa di libertà, esitando in una carica di sobria e rispettosa verve nel solido, arioso duettare con le concentrate ance di Jim Mair; la turnazione della pars solistica è con non marginale impegno assunta dall’ispirato vibrafonista Peter Schlamd, e la tastiera del leader, interventista con carattere, opera articolate figurazioni non soltanto complementari agli assortiti solisti, orientando il progetto con regia accorta, ed evidentemente motivata, alitando con operosa fantasia e tocco plastico su un groove d’imbastitura coerente, mercé l’ossatura mantenuta solidamente in mobilità dagli spessori bassi appunto di Elisa Pruett e dal drumming scintillante e puntuale di Brian Steever.


Sarebbe risultato improbabile (ed improbo), nel bilancio e nelle forme d’insieme, mantenersi chiusi alle stratificazioni estetiche successive, ma pochi dubbi che in questa corposa incisione (che può già vantare consistenti attenzioni oltreoceano), istruttiva nel pacificare con vivacità di soluzioni il lascito vivente dello hard bop, e non mirante a superare gli àmbiti (più che i limiti) dello hard-bop, con sottile sfumatura di humour lieve e diffuso ne aggiorna il performing, riconsegnandolo con perizia all’attenzione, e riattribuendovi, se non universalità linguistica, un richiamo d’attualità del periodo, operandone un rispettoso e accurato refreshing.