Borderline, il nuovo disco del Max De Aloe Quartet

Foto: la copertina del disco










Borderline, il nuovo disco del Max De Aloe Quartet.


Esistenze in bilico, normalità “diverse”, vite affascinanti consumate sull’orlo dell’abisso. Sono gli argomenti che danno vita a Borderline, nuovo disco del Max De Aloe Quartet. È un lavoro di forte fascino e d’ispirata ricerca. La musica scorre via scortata da una vivida e profonda narrazione, dove ai chiaroscuri esistenziali si contrappongono momenti d’illuminata e gioiosa vitalità. Il quartetto è diventato un corpo unico che fonde al suo interno le singole individualità valorizzandole attraverso un jazz mai datato e in continua evoluzione compositiva ed espressiva.



Jazz Convention: Max De Aloe, prima d’introdurre il tuo nuovo lavoro intitolato Borderline, ci faresti un punto sulla tua produzione discografica?


Max De Aloe: Borderline è il mio quattordicesimo disco



JC: È con il quartetto?


MDA: Con il quartetto composto da Roberto Olzer, Marco Mistrangelo e Nicola Stranieri, è il quarto. Poi ci sono una trentina di collaborazioni con altri musicisti



JC: Perché hai intitolato il tuo nuovo disco Borderline?


MDA: Borderline nasce in questo modo: più di un anno fa sono andato a Ravenna a vedere una mostra che s’intitolava per l’appunto Borderline. Era una mostra sugli artisti dell’Art Brut. Artisti che hanno cominciato a dipingere negli ospedali psichiatrici senza una preparazione accademica o che appartenessero a una scuola. Sono rimasto soggiogato dalle opere di Carlo Zinelli, tanto che la copertina del disco riproduce due lavori del pittore. Egli era un pittore che durante gli anni sessanta, dopo dodici anni di ospedale psichiatrico e isolamento, viene scoperto da un giovane psichiatra di ventotto anni che lo tira fuori dall’isolamento intuendo in lui una vena artistica. Lo psichiatra chiede a un suo amico pittore di fornire delle cognizioni tecniche a Zinelli. Questi comincia a dipingere forse per dieci anni producendo duemila opere. I dipinti sono di una forza assoluta e reclamano una sentita emergenza espressiva. Zinelli dipingeva su tutti e due i lati del foglio. Probabilmente non gli davano abbastanza carta in ospedale, luogo dove è rimasto confinato fino alla morte. In quel momento ho sentito che doveva cominciare la mia storia musicale. Che il mio racconto partisse da quei quadri



JC: Nei tuoi lavori trai spesso ispirazione da situazioni esterne alla musica.


MDA: Io ho sempre bisogno di qualcosa per iniziare, spesso anche di natura extra musicale. Sono partito da un brano che si chiama Atea Preghiera, di cui ci sono due versioni nel disco: una è una reprise e chiude il disco – è suonato con l’organo di chiesa – mentre l’altra, la versione principale, occupa la metà del cd. Poi è nato un altro piccolo brano, Wolfli, dedicato all’omonimo pittore svizzero, sempre ispirato al concetto di normalità e follia



JC: Poi ci sono anche musicisti come Kurt Cobain, Monk, Schumann e Syd Barrett…


MDA: Infatti, musicisti che per la loro vita e arte sono stati spesso accostati a situazioni in bilico tra normalità e follia. E questo riguarda musicisti come Cobain, Barrett, Monk e anche Schumann. La lista poteva essere molto più lunga. In realtà Borderline è un disco che ha una grande carica di positività. Perché la mia idea di borderline non è quella di un personaggio chiuso nella propria follia e devastazione. Ma che ha anche degli spazzi di luce incredibile, che spesso non vediamo perché chiusi nella nostra vita organizzata e razionale



JC: Così ha deciso di riprodurre questa narrazione con la tua formazione stabile?


MDA: Si ho deciso di farlo con il quartetto che è diventato per me un punto focale. Un caso raro di musicisti che hanno voglia di provare e rischiare con entusiasmo



JC: Ascoltando il disco si coglie un grande affiatamento; si ha la sensazione che il gruppo sia un corpo unico.


MDA: Noi proviamo a casa di Roberto Olzer che vive in una baita in Valdossola. Un posto suggestivo in mezzo ai monti. Ci voglio due ore per andare e tornare da Milano ma le nostre prove diventano un momento d’incontro e di grande comunicabilità. Pensate che il disco è partito con una bottiglia di champagne che qualcuno ha regalato a Olzer durante un concerto. A parte questo, il fatto di avere attorno a me persone con le quali suono da anni provoca grande piacere e nello stesso tempo stima reciproca. Spesso l’amicizia può scadere nello scontato, invece con loro non succede mai



JC: In Borderline suoni oltre l’armonica anche la fisarmonica in Atea Preghiera e Di Legno e Anima…


MDA: Io non mi sono mai posto il problema dello strumento. Non sono mai partito dall’idea del mio strumento. Suono spesso cose, quasi sempre, che non centrano mai con il mio strumento. Per cui suonare Monk con l’armonica è bello perché Monk scrive delle cose belle. Suono la fisarmonica ogni tanto, anche dal vivo. Ho suonato nel mio Crocevia nel 2006 con Bebo Ferra, Fioravanti e Bagnoli. L’ho suonata in Atea Preghiera perché volevo fare qualcosa di quasi liturgico perché Zinelli dipingeva in maniera quasi ossessiva i preti. Aveva questo continuo bisogno di religiosità ma anche forse di miscredenza. C’è in lui una continua ricerca di religiosità. Atea Preghiera perché la usava quasi come schermo. In Di Legno e Anima l’ho inserito per ultimo, mentre stavamo mixando a disco già fatto



JC: Come è stato suonare Schumann (Andante Cantabile terzo movimento, op. 47), per voi musicisti jazz?


MDA: In Lirico Incanto del 2008 abbiamo già suonato delle arie d’opera in chiave jazzistica. Se le cose le arrangi e le metti a punto possono funzionare. Anni addietro mi sono chiesto come mai noi jazzisti suoniamo tranquillamente Gershwin e ci facciamo così tanti problemi nei confronti della nostra musica “colta”? Perché quella colta americana si e quella europea no? Tutto può funzionare. Bisogna stare attenti a trovare le chiavi giuste. Potrebbe essere una ballad di jazz. Anzi lo è e noi la trattiamo a nostro modo.



Segui Flavio Caprera su Twitter: @flaviocaprera