Label Bleu – LB 6709 – 2012
Aldo Romano: batteria
Louis Sclavis: sax soprano, clarino basso
Henri Texier: contrabbasso
con:
Enrico Rava: tromba
Nguyên Lê: chitarra elettrica
Bojan Z.: piano elettrico, pianoforte
Lo sperimentato, all-talented trio Romano-Sclavis-Texier, già uso a percorrere le “rotte africane” pittoresche e civili al tempo stesso, da Carnets De Route ad African Flashback, ma più correntemente speso nel tracciare non soltanto oltr’alpe un versante significativo del “qui est qui” trans-generazionale, che dall’Esagono non cessa di irradiare segni e personalità, si ritrova in trio stavolta allargato in una line-up suggestiva, o almeno sulla carta.
La “trasgressione” rispetto alle ternarie alchimie si palesa non del tutto pagante e, senza voler troppo sminuire le quotate personalità ospiti, non convincono più di tanto, nei momenti collettivi, il calligrafismo marcato e letterale di tratto orientalista (o più propriamente le cineserìe un po’ fatue) di Nguyên Lê, che indugia con poca grinta anche nelle progressioni rockeggianti, così come si conferma fluida e fantasiosa pur riuscendo nei fatti rapsodica, trattenuta e tutto sommato di circostanza la prestazione solistica dell’usualmente stimolante Bojan Zulfikarpasic.
Le uscite di Enrico Rava increspano invece con agiata e naturale classe l’altrimenti bolso mainstream elettroacustico, rinvigorendo le nette qualità del trio nell’unica soluzione in quadrato (Ravages), in un gospel teso e destrutturato che trasfigura in una piena e lancinante catarsi free, essendo nei brani strettamente a tre che possono liberarsi e dilagare la maggior veracità d’ispirazione e la più pregnante carica impulsiva delle tre assortite personalità.
Laddove il “dinamico” legante fusion dell’album nei fatti impoverisce l’amalgama schietta e potente dei tre contitolari, è nell’espressione del suo nucleo autoriale che la reunion trova senso più personale, così nei climi estranianti ed erratici di Nous trois, facendosi assai vivida nelle sferzanti, plastiche figurazioni della centrale Rituel à Trois, offrendo il congedo nel cullante mood autunnale, “très parisien” di Valse à l’âme.
Le forze telluriche e la voce articolata del basso di Texier, il drumming fitto, impulsivo e flagellante di Aldo Romano, non ultime le chiaroscurali volute del clarino basso e la serpiginosa ricerca istantanea del soprano di Sclavis (diremmo la punta maggiormente avanzata, ed affrancata dalle comuni matrici della triade – non che gli altri due siano figuranti da panchina) si confermano e riqualificano insomma come ingredienti di prezioso valore sulla scena del jazz del vecchio Continente, non viventi certamente delle rendite dell’importante (e piuttosto glorioso) passato comune.
Legittimo insomma non poter riscontrare nelle licenze di tale divertissement a parti mobili le più corpose ispirazioni di 3+3, che vale più che altro, in buona sostanza, come verifica delle pulsioni creative del momento, ma che sfrondato dalle tentazioni di “colore” sarebbe con grande probabilità esitato in un ben più interessante laboratorio del (triplice) talento.