Gaspare De Vito e Federico Squassabia. Deep

Foto: Ufficio Stampa Suoniforme www.suoniforme.com










Gaspare De Vito e Federico Squassabia. Deep

Deep è il primo lavoro in duo realizzato da Gaspare De Vito, sax alto e flauto, e Federico Squassabia, Fender Rhodes ed elettronica. L’apertura del disco chiarisce subito il ragionamento di un duo attento alla scomposizione, al dettaglio, all’impasto timbrico. Si comincia da Lonely Woman, una delle più celebri e struggenti melodie di Ornette Coleman: il sassofono dipinge il tema, le tastiere, l’elettronica, i rumori corrodono l’ambiente circostante le frasi. Squassabia e De Vito non si muovono però su piani separati o contrapposti: procedono in maniera circolare, aggiungono via via elementi, esplorano il silenzio e l’urlo, si concentrano sulle possibilità offerte dagli incroci timbrici.



Jazz Convention: Qual è stato il percorso che vi ha portato all’incontro in duo, prima, e alla registrazione di Deep, poi?


Deep: Ci conosciamo da anni e abbiamo avuto l’occasione di lavorare insieme in diversi contesti. L’idea è nata durante un viaggio in auto da Lyon fino a Imola dove, per la prima volta, ci siamo confrontati sulla nostra visione ed approccio alla musica. Sono emerse molte congruenze ed è nata l’idea prima del duo e poi dell’associazione culturale Suoniforme. Fin dalle prime prove abbiamo riscontrato automatismi interessanti e da lì il passo di entrare in studio per una prima sessione è stato breve. Quello che ne è uscito ci ha spinto a continuare e ad approfondire, provando varie soluzioni, scartandone altre, ci siamo presi tempo per riflettere su quello che volevamo raggiungere in termini di suono e respiro musicale. Fondamentale è stato un concerto al Teatro Comunale di Dozza in cui abbiamo trovato un ottimo equilibrio concentrandoci successivamente su una seconda sessione di registrazione che è stata completamente portata sul disco.



JC: I brani presentano dinamiche particolari. Spesso sono costruiti secondo percorsi circolari, altre volte giocano sulla sottrazione. Quale è stato il lavoro di composizione e di arrangiamento dei vari brani?


Deep: Ci siamo concentrati molto sull’impatto melodico e sulla creazione di un suono di insieme. Abbiamo riflettuto e parlato molto delle registrazioni preliminari effettuate, cercando soluzioni essenziali, dirette. Costruire per percorsi circolari è stata una traccia che abbiamo seguito ma, soprattutto, abbiamo lavorato molto sull’essenzialità, sul minimalismo dei fraseggi e delle linee melodiche. Inoltre abbiamo utilizzato nella parte compositiva elementi rumoristici e percussivi creati dall’utilizzo non convenzionale dei nostri strumenti.



JC: L’altro aspetto fondamentale è la ricerca sul suono. Come avete individuato i suoni e le atmosfere da associare a ciascun tema? Come avete lavorato sull’impasto timbrico tra sassofono, Fender Rhodes ed elettronica?


Deep: Siamo arrivati alla registrazione finale dopo un processo lungo di ascolto e limatura. Ogni tema suggeriva certe atmosfere per cui abbiamo creato ogni volta un controcanto adeguato ricercando effetti diversi ed esplorando le capacità non convenzionali, rumoristiche e percussive dei singoli strumenti. L’impasto timbrico è venuto naturale, tutto si legava spontaneamente per cui non abbiamo fatto altro che assecondare ciò che naturalmente fluiva dai nostri strumenti.



JC: Come mai, oltre alla struggente bellezza del pezzo, avete scelto di aprire il disco con Lonely Woman di Ornette Coleman, unico brano non originale del lavoro?


Deep: Entrare nello stato mentale giusto per suonare questo tipo di musica è complesso. Si deve essere molto concentrati, calmi e non farsi prendere dall’ansia da prestazione jazzistica. Abbiamo quindi scelto di iniziare i concerti con un brano che fosse un territorio sicuro per abbracciare questo tipo di approccio. Un brano che ci permettesse di riscaldarci e allo stesso tempo che ci portasse gradualmente nella condizione mentale di poter affrontare un repertorio così sussurrato come quello proposto. Diventa un percorso anche per l’ascoltatore che non viene subito catapultato in atmosfere oniriche ma ha il tempo per capire che sta per intraprendere un viaggio e di conseguenza, può mettersi comodo. Abbiamo semplicemente riportato questo concetto che utilizziamo dal vivo nel disco.



JC: Nella presentazione del disco avete scritto che Deep «è un’immersione lenta che ricerca la complessità del semplice». Qual è la prospettiva migliore per entrare in confidenza con il lavoro che avete portato in Deep?


Deep: Sedersi, rilassarsi, respirare profondamente. Rallentare e abbandonarsi alle forme semplici. Fidarsi di se stessi e dei luoghi della mente ai quali si accede tramite l’ascolto.



JC: Il dialogo presente in Deep e la formula di questo duo a che punto arriva rispetto ai vostri singoli percorsi di Gaspare De Vito e Federico Squassabia?


Deep: Entrambi siamo impegnati in diversi progetti, alcuni dei quali in comune. La dimensione del duo così come l’abbiamo costruita è chiaramente frutto delle tante esperienze fatte in questi anni. Abbiamo trovato nei nostri singoli percorsi musicali tante parti comuni e quindi Deep è stata una tappa spontanea e necessaria. Un percorso intimo e di profonda e lenta riflessione personale che chiaramente influenza la nostra espressione musicale.



JC: Deep è il primo disco che esce per Suoniforme ed esce con una serie di elementi molto particolari, tra cui, la stampa in poche copie e l’abbinamento con un’opera d’arte. Come sono state scelte le linee editoriali di Suoniforme e con quali obiettivi?


Deep: Suoniforme è un’associazione nata principalmente per dare voce alla nostra comune esigenza di mischiare le carte. Mischiare le carte delle variegate esperienze passate e presenti con gli stimoli provenienti da altre discipline artistiche. L’obiettivo quindi è quello di connettersi con altre discipline artistiche, in particolare con l’arte contemporanea. Ci interessa cercare una dimensione ulteriore nei nostri lavori. La tiratura limitata e l’idea di includere un’opera numerata e certificata di un giovane artista, che diventasse copertina del disco e piccolo cadeaux sono scelte editoriali volte a ridare valore all’oggetto. In un tempo dove, per fortuna e per sfortuna, si ha accesso a tonnellate di musica in formato digitale è la tiratura di pregio che può fare una sostanziale differenza. Se non possiedi il cd, ma solo la musica in mp3, non hai tutta l’opera e una parte di questa è persa. È necessario ed è l’unica dimensione che riteniamo adeguata al valore del lavoro. Con Giulio Maulini e la sua opera “Pentaenergie su base antisismica”, abbiamo trovato un’ottima sintonia. Siamo già al lavoro nella progettazione di estensioni performative di questo lavoro con lo stesso Giulio e siamo fortemente orientati nel seguire questo percorso artistico.



JC: Quali saranno i prossimi dischi – e, di conseguenza le prossime opere – che usciranno per Suoniforme?


Deep: Ci sono molte idee, la maggior parte delle quali è sicuramente valida. Sono idee e progetti che meritano di essere valutati con calma e lasciati decantare. Per il momento non abbiamo programmato nulla di concreto, anche perché siamo al lavoro già su molti fronti, siamo però aperti a proposte di vario genere, anche dal punto di vista discografico e stiamo già parlando con alcuni musicisti per arricchire il catalogo con altre proposte.



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