Roberto Taufic e il jazz

Foto: Fabio Ciminiera










Roberto Taufic e il jazz


«Samba, bossa nova, tropicalismo, jovem guarda, musica nordestina e di Bahia, afro-brasile, forrò, lambada… di quante musiche è fatta la musica del Brasile. Molte di più di quelle che abbiamo elencato, musiche che vanno a comporre un ideale catalogo infinito, un catalogo di suoni ed emozioni che è difficile, se non impossibile, mettere tutto insieme. Se provate a dire ad un musicista brasiliano che la musica del suo paese è world music vedrete che s’infurierà velocemente. E con ragione, perché la musica del Brasile è ricca e ampia come e più di quella degli Stati Uniti d’America, come quella dell’Europa, e non vive e nasce in rapporto, in confronto con la musica occidentale, ma con uno sviluppo completamente indipendente. Non c’è nulla di “esotico” nella musica brasiliana, nulla che debba essere “scoperto”, niente che sia poco evoluto, che abbia radici ma non si sia sviluppato o che non usi l’intero patrimonio della tecnologia oggi disponibile (…)» così scrivono Ernesto Assante e Gino Castaldo a proposito della musica brasiliana.


E il discorso vale a maggior ragione per un musicista che all’anagrafe fa Roberto Taufic, su cui occorre discutere per le recenti usciti di due nuovi album: da un lato Um Brasil Diferente (Dodicilune Dischi) a firma Gabriele Mirabassi & Roberto Taufic, rispettivamente clarinetto e chitarra classica e dall’altro Memoria (Schema Records) a nome di Toco (alias Tomaz Di Cunto), insigne produttore, che mette insieme un supergruppo italo-brasiliano, consentono di tornare a parlare dei rapporti tra la musica jazz e quella verde-oro; in Memoria la band oscilla tra i sei e i dieci orchestrali, con gli onnipresenti fratelli Roberto ed Eduardo Taufic da Nadal (Nord-Este), rispettivamente chitarra e pianoforte, a cui s’aggiunge la ritmica con Edu Hebling (contrabbasso), Mauro Martins (batteria), Marquinho Baboo (percussioni), fiati, sintetizzatori, quartetto d’archi e in quattro brani su dodici cantanti quali Ninas Miranda, Selton, Ligiana Costa.


Um Brasil Diferente è composto da due percorsi quasi in direzioni opposte, andata e ritorno con incrocio a mezza strada tra i due musicisti. Mirabassi scopre il Brasile dieci anni or sono e da allora lo suona con assiduità e passione, quasi un punto di riferimento costante di un’esperienza artistico-esistenziale. Taufic parte da ragazzo da Natal (nord-est brasiliano) alla volta dell’Italia, dove in qualche modo compie il cammino inverso: atteggiamento europeo nei confronti del jazz in modo da fecondare l’atavico gergo sonoro. E Um Brasil diferente è la rilettura di un repertorio di canzoni e pezzi strumentali di varie epoche che simboleggiano la cultura di intere generazioni brasilere, a cui si aggiunge qualche tema sia di Taufic sia di Mirabassi, sempre legati a doppio filo all’idea dello sguardo da lontano, cercando prospettiva e quella nitidezza di visione che si ottiene solo allontanandosi metaforicamente dall’oggetto guardato.


A tornare indietro di tre anni e risentire anche Bate Ribate (Sesc) il disco d’esordio dei fratelli Taufic, a nome infatti Roberto Taufic & Eduardo Taufic Duo, si può osservare il percorso centenario di questo sound che incrocia non solo il jazz ma anche la classica, il folclore, la canzone, il rock, con una originalità sorprendente.


L’arte vera di quel continente sonoro chiamato Brasile – come all’inizio ribadito da Assante e Castaldo – è infatti un unicum, il primo a pari merito, assieme all’Europa e agli Stati Uniti, a presentare una varietà incredibile e un altrettanto sostanziosa ricchezza di proposte musico-culturali da cent’anni in qua. Il fatto che, anche solo nella forma-canzone, il brasile comprenda così tanti modelli di riferimento è dovuto alla profonda amalgama nella storia plurisecolare delle tre grandi etnie presenti sul territorio: la cultura bianca (portoghese, all’inizio), nera (africana, con lo schiavismo), india (con le tribù locali) fa sì che si arrivi alla fusione mulatta in grado di esprimere un gusto musicale dove non è quasi più possibile distinguere le influenze originarie: dire, come si fa nel jazz, che il ritmo è nero e la melodia è bianca, sarebbe un torto nei confronti di sound che è ormai perfettamente integrato anche sul piano razziale.


Di origini honduregne e palestinesi, Taufic – quasi a ribadire e aggiornare l’amalgama multietnico appena citato – è chitarrista e compositore (di rado cantante) e sia su disco sia in concerto riesce a catapultare l’ascoltatore nel cuore pulsante del Brasile medesimo, anche se non è il ritmo frenetico carnevalesco o le banalità da piano bar a cui si è da tempo abituati in Italia, al punto da avere, anche tra il pubblico jazzofilo, idee poco chiare e molto approssimative sull’autentica musica do Brasil. Si tratta invece di una ritmicità sommessa, che viene sottolineata più da raffinate assenze che da plateali esuberanze, con una bellezza sonora essenziale avvertibile ad esempio in un brano come Nosso Chão (composto da Eduardo Taufic), dove, con molta poesia, la chitarra accentua la melodia tramite un fraseggio al contempo limpido e leggero, onirico e svolazzante. Le composizioni originali dei Taufic, raccolte nel loro primo disco Bate Rebate o in quello in uscita l’anno prossimo (Brasil Express, Bate Rebate, Nosso Chão, Choraminguando) suonate dal vivo accentuano soprattutto l’interplay del duo che riesce, come scrive Lia Passadori, «nel nobile e arduo intento di amalgamare timbricamente e armonicamente (e anche, in parte, jazzisticamente) due strumenti che tendono ad accaparrarsi il ruolo di protagonista, dialogando invece nel reciproco ascolto. In questo caso i brani appositamente composti e pensati per questa formazione lasciano spazio a entrambi e il risultato è un incontro intimo e delicato».