Lars Danielsson – Liberetto II

Lars Danielsson - Liberetto II

ACT Music – ACT 9571-2 – 2014




Lars Danielsson: contrabbasso, violoncello, pianoforte (in Grace, Miniature, Eilat)

Tigran Hamasyan: pianoforte, fender rhodes

John Parricelli: chitarre

Magnus Öström: batteria, elettroniche



ospiti

Mathias Eick: tromba, elettroniche

Dominic Miller: chitarra (in Grace)

Zohar Fresco: percussioni , voce (in Eilat)

Cæcilie Norby: voce (Beautiful Darkness)






Non si sarebbe istintivamente pensato ad un sequel annunciato, vista la ricchezza, sì, di materiali ed ispirazioni profusa nel tutto sommato brillante e riuscito Liberetto, che pure poteva considerarsi opera compiuta: l’amalgama è evidentemente densa di potenziale ancora vivo, se la formula giunge a nuove note e vita aggiornando la sua pelle ed espandendo ancora gli orizzonti sonori.


Notevole peraltro come la personalità del contrabbassista-cellista-autore danese sappia mantenersi nella sostanza fedele a sé stessa, sia nelle vedute a sua firma che nelle sessions, peraltro assai eterogenee: animatore vivace e di colore nelle partnership col fedele Leszek Mozdzer, si conferma di possente corpo ritmico e vitale, peraltro, nelle partecipazioni alle vivide stanze canore di Youn Sun Nah così come nei ben distanti avanzamenti formali di Arve Henriksen (il recupero delle rispettive ultime incisioni utilmente confermerà).


Nuova e piuttosto tempestiva riproposta dunque del quartetto allargato e a sensazione, il cui rodaggio si sarebbe giovato di qualche maggior corposità nella forma live, ma tutto riesce a riproporsi in netta rinnovata forma, costituendone più che un imitativo remake, un appassionante reboot.


Non rinunciando intuitivamente all’immediatezza fusion pervasa di colore in vitalità sorgente (Africa) ma nemmeno trascurando d’incarnare un più nitido spirito jazz (The Truth), trasvolando sulle oniriche malìe di Eilat e i segni della notte di Grace, è brulicante la sintesi di danza antica e contemporanea nella colta Passacaglia, l’incontenibile frenesia cinetica e l’implacabile forza ipnotica in Swedish Song sovvertono i tematici, distanti segni nordici del titolo e, magnificate contemplazioni ancestrali (Miniature), si ritrovano infine e in vario modo i propri, più forti segni identitari nell’ampia forza vedutistica e nella spiritualità semplice (Beautiful Darkness, I Tima).


Netta, nella riconferma dei preziosi sidemen-confratelli, la crescita contributiva di Tigran Hamasyan che, pur non importando in blocco le pirotecnie ulteriormente sedimentate nel suo più recente Shadow Theater non abdica in nulla alla sua ormai decisa identità, creando con nettezza una simbiosi dinamica con i caroselli formali del titolare, esplicitando le proprie neo-sintesi linguistiche imbevute d’incisivi estri di bouquet eurasiatico.


Note d’interesse aggiunto nella nitida statura della new-entry Mathias Eick (assai meno “ospite” e ben più determinante di quanto i credits sottendano) che, forte di carisma differente dallo sfaccettato predecessore Arve Henriksen, neppure può patire complessi d’inferiorità, in virtù dell’attiva costruzione di originale profilo, e non minore, pur con differenti valenze, il vivace contributo del ricorrente partner Zohar Fresco (punta di colore e vibrazioni nei trii con Mozdzer), più circoscritte ma con firma le presenze aggiunte della voce di Cæcilie Norby e delle setose corde di Dominic Miller.


Nell’insieme incruente, le soluzioni di Danielsson non tendono a spezzare equilibri o violare confini, ed elaborando “naturali” speculazioni sulle valenze emotive del ritmo e il potere affrescale delle convergenze melodiche, esse si ergono sovente più alte rispetto al loro (nemmeno troppo) ideale spirito da soundtrack di tono temperato – disvelandosi ulteriormente e in pieno agio le forze tranquille dell’ispirato talento danese lasciano il segno e ripagano chi vi si accosterà con orecchio sgombro da formule ed “aperto” a (grande) piacere dell’ascolto.