Intakt Records – CD 239 – 2014
Alexander von Schlippenbach: piano, arrangiamenti
Aki Takase: piano, arrangiamenti
Karl Berger: vibrafono
Rudolf Mahall: clarino basso, clarinetto
Tobias Delius: sax tenore
Henrik Walsdorff: sax alto
Axel Dörner: tromba
Nils Wogram: trombone
Wilbert de Joode: contrabbasso
Antonio Borghini: contrabbasso
Han Bennink: batteria
Heinrich Köbberling: batteria
Quanti hanno contribuito all’accelerazione dello stile e all’espansione delle vedute si trovano in breve (financo in vita) a rivestire un ruolo di classici, e nella contemporaneità erratica, vorace ed iperveloce questi possono mantenersi creativamente vitali purché non relegati a ruolo museale: quella di Eric Dolphy fu una “vita al massimo” – o all’incirca, se tale può dirsi per una scomparsa assai precoce (e nel suo caso non priva d’implicazioni grottesche) che recise una traiettoria di grande potenziale connettendolo in quel curioso filone interrotto che già ha annoverato Bix Beiderbecke, Clifford Brown, Scott LaFaro e, più avanti e nelle rispettive differenze, i Pastorius o Svensson, e che nel caso del Nostro fece segnare un primato almeno per il conferimento di grande protagonismo al diversamente negletto clarino basso, per il misconosciuto pionierismo della pratica di fluviali sax-solo, oltre ad imprimere con concezioni e cultura affatto originali (militando peraltro nell’allora avversato anti-jazz) un marchio nella storicamente necessaria evoluzione del bop.
Grande e speculativo signore del free e della dissezione pianistica, e non meno la sua partner d’arte e vita Aki Takase, già operanti ardite e rispettose revisioni dei làsciti di Ellington, Monk, Coleman etc. i due del grande evoluzionista hanno elaborato un rievocativo programma con una line-up pressoché già definita dagli inizi del progetto, comprendente spiriti affini e veterani lungamente militanti entro falangi e formazioni dell’àmbito e, di essi in particolare, Han Bennink e Karl Berger, hanno esplicitato con il dedicatario una storica militanza dai primi e cruciali anni ’60.
«L’arte che persiste oltre il suo tempo in quanto visionaria non perde nulla del suo potere ispirativo decadi e decadi oltre la sua creazione: felice esempio nella storia della musica, Dolphy oltre a segnare con unicità la transizione tra bebop e free non rappresentava più il passato, ma nemmeno apparteneva interamente al futuro; per la sua troppo precoce scomparsa rimase un “incompiuto” che però spiega perché la sua opera rivesta ancora, per i musicisti, uno stimolo e un cimento» – piena concordanza dunque con le note di presentazione di questa sentita esperienza live in cui lo spirito del grande jazzman viene rievocato, rivivificato, probabilmente re-immaginato da una falange orchestrale più massiccia e corposa rispetto alle formazioni dolphyane, ma coralmente e individualmente responsabilizzata e partecipante.
L’intricato, obliquo contrappunto dei fiati, le ampie, esplorative stanze in solo dei pianoforti, l’ampiezza della costruzione (e ri-costruzione) ritmica sono i più immediati aspetti di un contributo d’affetti e rispettosa personificazione: peculiare, ricercatamente precario equilibrio tra le forze orchestrali e le incisività d’apporti dei singoli, in una sequenza di contrasti emotivi e di soluzioni talvolta scabrose in termini ritmici e d’armonie d’insieme, che in varia modalità e in sentire non unicamente storicista esitano in un flusso musicale ma soprattutto comunicativo di portata costante, fascinoso e di salda coerenza.
Link di riferimento: http://www.intaktrec.ch/player_intakt239.html