Foto: la copertina del disco
Soul Eyes, il documento sonoro del Martino/Goglia/Iodice trio.
Soul Eyes è la prima testimonianza discografica di un gruppo composto da importanti jazzisti italiani che rispondono ai nomi di Giulio Martino (sax tenore e soprano), Gianluigi Goglia (basso) e Pietro Iodice (batteria). I tre suonano assieme da diversi anni tenendo esclusivamente concerti dal vivo, unica occasione d’ascolto prima della realizzazione di Soul Eyes. Il disco riproduce fedelmente le personalità artistiche dei tre musicisti, jazzisti curiosi, colti e di ampie vedute. Soul Eyes è un lavoro di ampio respiro dove ad alcuni standard, interpretati in chiave personale e fascinosa, seguono composizioni originali firmate da Goglia e Martino. La chiave interpretativa di questo disco suonato in maniera ineccepibile dal punto di vista tecnico e musicale, è la forte passione per il jazz in tutti i suoi risvolti e il piacere di suonare e improvvisare. Abbiamo chiesto a Giulio Martino, per l’occasione portavoce del gruppo, di raccontarci Soul Eyes.
Jazz Convention: Soul Eyes è il primo disco del trio Martino/Goglia/Iodice: come nasce questo progetto?
Giulio Martino: Questo trio esiste da diversi anni. È un gruppo che ha tenuto moltissimi concerti. C’era da parte nostra una certa pigrizia nel realizzare un documento sonoro, anche se ne parlavamo molto. I concerti dal vivo che abbiamo tenuto sono sempre stati belli e hanno avuto una buona risposta di pubblico. Alla base di questa pigrizia c’era una motivazione ben precisa, e cioè che ognuno di noi è sempre impegnato in tanti progetti. Iodice sta a Roma e porta avanti i suoi lavori, e io e Goglia a Napoli con i nostri. Questo nostro “status quo” è stata smosso da Francesco D’Errico, un grandissimo pianista e amico il quale ha deciso in maniera provocatoria, come stimolo, a produrci il disco. D’Errico non sopportava il fatto che il trio avesse delle cose da dire senza però mai registrarle. È una piccola nostra colpa. Sono degli aspetti caratteriali che necessitavano una “spinta”. Inoltre è una cosa rara che un musicista e collega si attivi per un progetto dove non è coinvolto. E questo è bello! Per il resto è stato semplice. Suoniamo assieme da anni. Abbiamo fatto un giorno e mezzo di registrazione e siamo soddisfatti di quello che è venuto fuori. Sostengo che un disco di jazz va fatto così, di getto. Sono istantanee, fotografie di questo gruppo, e va bene così.
JC: Soul Eyes è il titolo del disco. L’avete chiamato così perché contiene una vostra versione dell’omonimo brano di Mal Waldron o è una vostra condizione spirituale, un mood?
GM: Di per sé è un titolo molto affascinante. In verità ci è piaciuta l’esecuzione di questo brano. È stata molto sentita nonostante abbiamo usato solo il tema. Poi, con l’approvazione di Pietro Iodice – è l’unico pezzo dove non c’è la batteria – abbiamo deciso di usarlo come titolo del disco. La copertina ha voluto essere il riflesso di tutto questo, grazie anche alla soluzione grafica adottata da Marina Barbensi.
JC: Soul Eyes contiene dodici brani di cui alcuni sono standard e altri vostre composizioni. Come nasce tale scelta?
GM: La scelta degli standard nasce dalla situazione del momento. Alcuni li abbiamo suonati in sala com’è successo con Evidence. Lo suonavamo per abitudine, ci ha sempre affascinato la poliritmia presente nel tema e divertiva molto anche Pietro nel fare il solo. In studio ci siamo detti: perché non mischiamo i due pezzi, Just You, Just Me con Evidence? Poi quest’ultimo è diventato il tema. Isfahan è un brano che adoriamo. Non so perché, ma lo suoniamo sempre… Ci sono anche degli episodi che sono in solo, di basso e di batteria. Quello di Ellington, I don’t mean a thing, suonato da Pietro è stato deciso al momento. A Gianluigi andava di suonare in solo Darn That Dream, anche per un fatto affettivo legato al ricordo del padre scomparso. Inoltre, il disco è dedicato ad Antonio Golino, un musicista che a noi napoletani ha insegnato molto e dedicato la sua vita per questa musica.
JC: I brani scritti da te e Goglia nascono durante la session di registrazione o sono stati composti per il disco?
GM: I pezzi sono stati composti per il disco. Ovviamente si nota, ed è normale, sono diversi dagli altri brani. È una caratteristica che abbiamo voluto mantenere. Soul Eyes rappresenta tutti e tre e amiamo incondizionatamente questi mondi, da quello della tradizione a quello dei Weather Report a quello più creativo, strano, quale può essere il pezzo intitolato Tri-Blues, oppure le ballad di Gianluigi. Ci piace questa “varietà” perché è quello che ci rappresenta. Probabilmente siamo jazzisti che dedicano non tantissimo tempo alla composizione ma a cui piace collaborare con i musicisti più disparati, visto che ognuno di noi è presente in centinaia di dischi. E tale aspetto si è mantenuto nel disco. Amiamo suonare. È una concezione più ampia che non è legata a un genere ma a una modalità di linguaggio.
JC: Restando in tema con le tue ultime parole, com’è Soul Eyes suonato dal vivo? Aderente al disco o improvvisato?
GM: È tutto improvvisato! Dopo Soul Eyes si volta pagina, succede spesso con i musicisti. Faremo i concerti di presentazione e probabilmente alcuni brani li suoniamo e li suoneremo. Però l’idea, e anche per questo ringrazio ancora Francesco D’Errico, è dire, così abbiamo suonato in questi anni e adesso si cambia.
JC: Dunque Soul Eyes diventa un documento, un frammento musicale dell’intera vostra storia…
GM: Si, rimane un documento. Nel frattempo stiamo lavorando su brani nuovi. L’idea ci è piaciuta.
JC: Quindi si preannuncia un nuovo disco del trio?
GM: Si, abbiamo deciso di provare del nuovo materiale e poi di registrarlo.
JC: Ma che non sarà come questo?
GM: No, sicuramente no! È un modo per svoltare pagina. Forse una delle poche funzioni rimaste del disco, visto che non ha più finalità economiche ma forse solo promozionali, è questa, fare una foto del presente e poi suonare e fare altro. Questo è quello che penso.
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