Silvia Bolognesi Contrabbasso Solo

Foto: Fabio Ciminiera










Silvia Bolognesi Contrabbasso Solo

Giulianova, Non è – 16.1.2015

Silvia Bolognesi: contrabbasso

Il punto di partenza è, innanzitutto, la scelta “acustica” operata da Silvia Bolognesi. Il contrabbasso e basta, si potrebbe dire… senza effetti né interventi elettronici. E, se si vuole aggiungere il dettaglio logistico, senza amplificazione, visto che le dimensioni della sala hanno consentito l’ascolto diretto da parte del pubblico.


La performance ruota intorno al contrabbasso e al suo utilizzo totale. Il corpo come elemento da percuotere, l’alternanza di archetto e pizzicato, l’accompagnamento trovato nei rumori causati dalle corde grattate, dalla cassa trascinata sul pavimento, dagli oggetti che Silvia Bolognesi fa interagire con lo strumento. La voce, inoltre, come parola, come canto e come bordone di sostegno per le linee melodiche espresse dal contrabbasso. E, infine, il gesto, utile per sottolineare momenti e passaggi e, soprattutto, sempre pensato per completare la linea espressiva.


E, infatti, il senso è quello di una performance molto più stratificata – nelle espressioni e nel racconto – di quanto non faccia trasparire la dicitura “contrabbasso solo”. Se il baricentro del movimento è il contrabbasso, per quanto riguarda linguaggi e direzioni musicali il punto di partenza è una visione ancestrale del blues alla quale naturalmente si agganciano nel discorso sonoro di Bolognesi le derive radicali e la spoken word. Una visione capace di portare a proprio vantaggio la ripetizione delle frasi e il “contorno” di rumori e gesti e costruire così il flusso articolato e mai troppo scarno del concerto.


Il concerto concepito senza soluzione di continuità rende possibile il passaggio fluido e unitario attraverso le varie articolazioni del discorso. Le ripetizioni, tanto per tornare a quanto si diceva sopra, creano la base per il dialogo con l’ascoltatore, il “recinto” in cui convogliare le frasi e le melodie e sostenerle nel loro sviluppo. I rumori e i gesti sono accessori, secondari rispetto alle linee espresse sullo strumento, ma permettono una buona quantità delle transizioni tra i brani e servono a dare corpo e consequenzialità alla successione dei momenti. E, in modo estremamente spontaneo, la continuità del flusso sonoro crea tensione emotiva, l’attesa per lo sviluppo del discorso, la mancanza di spazi vuoti e di rilassamento. Dall’altra parte, e non può essere che così, il concerto è breve e, anzi, in questo senso Silvia Bolognesi riesce nella difficile arte della sintesi, riesce a mantenere l’equilibrio tra le cose da dire e l’esposizione, lasciando il giusto respiro alle frasi, ma senza esaurirne la forza e il contenuto.


Il concerto giuliese di Silvia Bolognesi è stato organizzato dall’Associazione Grido e, in particolare, dal suo deus ex machina Giuseppe Di Berardino, già protagonista qualche tempo fa dell’impresa di portare a Giulianova il Chicago Tentet di Peter Brotzmann. Se già nello scorso mese di dicembre aveva organizzato una serata doppia tra jazz nordico e sperimentazioni elettroniche – con la presentazione de Il suono del Nord di Luca Vitali e il concerto di Dico Fone – e alcuni appuntamenti con il solo live di Marco Colonna, in realtà sono ormai diversi anni che le iniziative organizzate fanno di Di Berardino un personaggio da seguire per tutti coloro che sono alla ricerca di situazioni non convenzionali o, quantomeno, poco consuete e più difficili da incontrare.



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