Muséa – FGBG 4927 – 2013
Richard Pick: voce solista, chitarra acustica, tanpura
Gilbert Gandil: chitarre, dobro, tastiere, lap steel
Jacques Roman: pianoforte, synth, mellotron
Guillaume Antonicelli: basso elettrico
Attilio Terlizzi: batteria, gong
ospiti:
Jean-Nicolas Susse: tastiere, harmonium indiano, cori
Catherine Pick: voce
Gabrielle Vargiu: flauto traverso
Hagop Boyadjian: duduk
Paul Grant: santur
Adrien Bernard: direzione coro, voce e testi, violino, chitarra
Axelle Ciofolo de Peretti: clarino basso
Bertrand Plé: direzione brass quartet
Pierre Bassery: trombone
Nicolas Salmon: tuba
Christophe Coronas: tromba
Cristalline magnificenze d’apertura introducono a quanto amorevole spirito si sia devoluto nell’affollato Siiilk, autentica e piuttosto letterale operazione di un Progressive contemporaneo e in lineare continuità con quanti materiali hanno già sancito le glorie del genere, produzione nel presente caso basata a Lione, “par les soins” del titolato Richard Pick, schietto cultore ed agguerrito musicologo strumentale, se si vorrà (comme il faut) conferire valore all’infaticabile raccolta personale di materiale preziosamente disparato dell’instrumentarium del mondo vintage e dall’universo world, e non meno efficace nel proporsi come ispirato e credibile vocalist.
Con palpabili divertimento e partecipazione qui non si sfugge alle letterali meccaniche dell’àmbito, crimsoniane o pinkfloydiane o quant’altro siano, nella rivitalizzazione non antiquaria di questo materiale che ha comunque fatto storia e tuttora ne determina parte delle evoluzioni, peraltro frequentemente riscontrato quale motore assai vitale di una messe di progetti d’ampio stile prog-jazz ricorrenti nel più recente periodo.
Con le attuali possibilità tecniche scansa soluzioni che oggi riporterebbero come pionieristiche ma evidentemente datate le “ardite” soluzioni timbriche d’antan, in primis grazie alle cure di post-produzione, quindi l’adozione di pulite cornici elettroniche, di voci strumentali all’epoca rare ma non improbabili (le ricorrenti strumentazioni indiane, il caucasico duduk, etc.), l’evocativa filologia del flauto, nonché, dilatando la dimensione del gioco, l’incorporazione di cori infantili, brass bands e via elaborando.
Coinvolti e corresponsabili in un'”operazione nel segno dell’amicizia e in grande spirito d’apertura” secondo le intenzioni degli animatori, tutti segnano l’approccio individuale con palesi amore e dimestichezza verso questi materiali, esitando in pagine estensivamente segnate dall’attrattiva firma vocale dell’animatore, solcate dagli interventi a sei corde di un dotato e ben sintonizzato Gilbert Gandil, imbastendo un sound di accuratezza “naturale” ancorato dalla già apprezzata dualità ritmica Guillaume Antonicelli-Attilio Terlizzi, culturalmente pertinenti ed avvezzi al ruolo per talenti e versatilità.
Calibrati ed assortiti i climi, dall’ironia (o fatalismo) dispensata in un titolo quale Midlife Crisis, grondante una speciale luce che fa da ponte tra le riviere estremo-orientali e una certa West Coast, dalla macchinosa e strutturata Wladislaw’s Marching Band, attestante quanto non si sia lesinato nel lavoro di scrittura, transitando per il divertissement corale (in realtà piuttosto serioso) de In the grey Chapel, fino alle toccanti suggestioni della cullante Witness, ma più particolarmente la pienezza, il calore di Leaving North e Cathy’s Woods, che di Siiilk maggiormente segnano il volto fruibile.
Coerente anche la ricercata, esoterica naïveté della grafica di copertina, ritorno post-moderno ai fondamentali della pop-song con i segni tuttora pescanti nelle dinamiche dell’epoca, ma per vari versi sottolineando quanto poco necessiti di modernizzazioni un filone tuttora vivente non in forma soltanto nostalgica (ma anzi di ricorrente riscontro nei molteplici crossover dell’attuale avant-garde).
Con l’orgoglio raggiante dell’appartenenza al culto e alla memoria del più vivido e trasversale pop, in un’avventurosa condivisione che oggi lega almeno due generazioni, appare compiuto l’intento non soltanto di rivitalizzare una grande corrente della storia del gusto in una luce atemporale, ma l’album è soprattutto fattivo, operoso e creativo memento di quanto tuttora vitale sia il filone e quant’altri segni non cessi d’irradiare.