Guido Michelone: George Gershwin e il jazz contemporaneo

Foto: La copertina del libro










Guido Michelone: George Gershwin e il jazz contemporaneo

Educatt, Milano – 2015


Guido Michelone, dopo due libri dedicati ad un numero consistente di protagonisti della musica afroamericana o di confine, nell’ordine 60 jazzisti e Jazz set, pubblica un testo monografico su uno dei personaggi emblematici del novecento, George Gershwin. L’autore vercellese parte da un presupposto in contrasto rispetto ad una tendenza piuttosto diffusa fra i critici nazionali ed europei, ritenere di scarso appeal, di minore rilevanza quanti raggiungano una considerevole risposta popolare con relativa ricaduta sui riscontri commerciali del prodotto artistico. Michelone scansa questo tipo di posizione aprioristica per mettere in luce il talento di un compositore frenetico nella sua attività, curioso di nuove esperienze, capace di impegnarsi in imprese complicate, uscendo a testa alta in ogni situazione. Viene facile ricordare come Gershwin abbia elaborato il Piano concerto in F senza possedere, in partenza, le basi teoriche per portare a compimento la consegna. La consultazione veloce di alcuni tomi sulla struttura musicale gli hanno aperto la strada per comprendere come condurre in porto un’operazione di tale difficoltà. E il risultato finale è sotto gli occhi di tutti. La grande fama è arrivata, però, all’artista di origine ebraica, per aver realizzato 700 canzoni, molte delle quali sono state interpretate da jazzisti di ogni epoca e compaiono fra gli standards più eseguiti in assoluto. Non basta. Il melodramma Porgy and bess ha conseguito una risonanza straordinaria con molteplici riprese e rivisitazioni. Insomma Gerswin ha suscitato in passato ed esercita ancora un notevole interesse nel panorama musicale, da qualunque lato si voglia analizzare la sua cospicua opera. Pur avendo vissuto solo 39 anni, infatti, il compositore, grazie alla sua prolificità, ha inondato il mercato di sue creazioni.


Il saggista piemontese, nel testo, illustra rapidamente le tappe della brillante carriera artistica per arrivare al centro del discorso, i rapporti fra il jazz contemporaneo e Gershwin. Viene dato spazio, dapprima, ai pareri della critica italiana di settore e di jazzisti titolati, tutti invero lusinghieri. Per Zenni, ad esempio, «Tutta la sua opera è un gigantesco processo di sintesi fra mondi che si credono lontani e impermeabili e che invece sono affini, permeabili…» Gaslini di rinforzo sostiene che « i suoi songs costituiscono una forma altissima di canzone d’autore in America e nel mondo.»


Si procede, subito dopo, con succose interviste a musicisti curiosi intellettualmente e pronti, ogni volta, a intraprendere nuovi progetti come Maria Pia De Vito o Enrico Pieranunzi. Qui rimbalzano opinioni provenienti da punti di vista eccentrici, o non molto considerati. Per il pianista romano «la componente ebraica è tutta da approfondire perché nella musica americana, dal jazz al musical è stata di grande incidenza.» Per la De Vito in Gershwin, ma anche in Kurt Weill, «certe storture compositive sono originalissime ed eccezionali, perché prodotte negli anni venti-trenta.»


Il dialogo con Uri Caine risulta efficace nella prima parte, quando il tastierista, partner di Paolo Fresu, descrive il suo adeguamento del materiale scelto al mood espressivo del suo nonetto, già rodato da altre fortunate riletture. È meno incisivo, in seguito, perché il discorso viene allargato all’estetica di Caine, alle sue concezioni musicali, andando tutto sommato fuori tema.


La parola va successivamente alla misconosciuta Letizia Regazzoni, titolare di Gershwin Quartet, un gruppo al femminile in bilico fra linguaggio sinfonico e jazz “per unirli in un impasto nuovo e moderno”.


Un capitolo è, giustamente, riservato all’incontro fra due fuoriclasse, nei rispettivi ruoli, Chailly e Bollani per affrontare la Rapsodia in blu, il piano concert in F e altre pagine meno note. «La novità straordinaria di questo connubio è sentire Bollani alle prese con la tradizione accademica… suonare con genuina foga e swingante intemperanza» come chiosa Michelone.


Più di un terzo del libro è dedicato alle letture e riletture di Porgy and bess. Si comincia dal minuzioso racconto della genesi e dallo sviluppo dell’album firmato Gil Evans e Miles Davis alla fine degli anni cinquanta,ad opera di un davisologo patentato, quale Gian Nissola. Nell’eccellente disco, fra l’altro, il carismatico trombettista interpreta sia la parte di Porgy che quella di Bess.


Si passa, quindi, ad approcciare una versione non molto conosciuta in Italia A different Porgy and another Bess incisa da David Lynx, cantante e regista del cd, in compagnia di Maria Joao, famosa per il suo jazz profumato di fado, e della competente Brussels Jazz Orchestra.


Il colloquio con Lynx è molto denso di spunti e illuminante dell’intenzione di “filtrare”, “depurare” la messa in scena dalla presunta impostazione razzista del libretto originale.. Dall’intervista, fra l’altro, si ricava la bella figura di intellettuale a tutto tondo del vocalist belga.


Sullo stesso argomento è riferita la testimonianza diretta di Gershwin, di cui vengono riprese le spiegazioni scena per scena sullo svolgimento del melodramma.


La conclusione, infine, consta di una cronologia della parabola umana e artistica del compositore americano.


Collaboratore di Musica Jazz e di Jazz Convention, l’autore ha usato suoi articoli scritti in epoche diverse, li ha assemblati con parti inedite e collegati per comporre il volume. Il collage regge bene, anche se a volte si perde un po’ il filo del discorso a causa di salti in avanti e ritorni indietro nei tempi e negli oggetti di attenzione, un po’ spiazzanti..


Ad ogni buon conto, Michelone ha il merito di aver fatto il punto sull’attualità di Gershwin, un musicista molto discusso, invidiato per il suo successo, che non passa, però, mai di moda.