Paolo Fresu & Daniele Di Bonaventura, Joshua Redman Trio e Brad Mehldau Trio all’Auditorium

Foto: Luca Labrini










Paolo Fresu & Daniele Di Bonaventura, Joshua Redman Trio e Brad Mehldau Trio all’Auditorium

Roma, Parco della Musica – 11-20-21.4.2015


L’incontro tra la tromba di Paolo Fresu ed il bandoneon di Daniele Di Bonaventura apre nel migliore dei modi il cartellone jazzistico dell’Auditorium di Roma che vede nello stesso mese la presenza del trio di Joshua Redman e quello gettonatissimo di Brad Mehldau.


Il sodalizio tra il musicista sardo e quello marchigiano è oramai consolidato e quasi decennale, catturato lo scorso maggio da Manfred Eicher negli studi della Radio di Lugano, e uscito in questi giorni nel disco “In maggiore” per la sua prestigiosa etichetta ECM. Nella prima parte del concerto i due seguiranno fedelmente la scaletta dei primi brani racchiusi nel disco in una sorta di viaggio musicale che parte dal Sudamerica per arrivare in Europa, passando per Puccini, Bach e brani originali. Come tiene a sottolineare scherzosamente più volte lo stesso Fresu dal palco, non è comunque un concerto di tango, come in effetti la presenza del bandoneon poteva erroneamente far credere. A prescindere dai genere e dal repertorio trattato, apparentemente lontano per epoche e luoghi, il duo recita poesie più che raccontare storie, in un dialogo musicale che incanta per gusto e raffinatezza. I due sono capaci infatti di trasmettere emozioni per l’autenticità e la naturalezza del loro linguaggio, in una dimensione intima in cui Fresu riesce sempre a trarre il meglio a prescindere dal compagno di avventura. Non una nota di troppo o fuori posto in un concerto inevitabilmente incentrato sull’empatia finissima tra i due, dove anche il semplice battito dell’anello sull’ottone, il soffio, il respiro e ogni elemento diviene fondamentale, magicamente inserito in una musica prevalentemente acustica, con un uso misurato di effetti che arricchisce ma non snatura una delicatezza che colpisce l’anima.


Di tutt’altro tenore i due concerti ravvicinati delle due stelle americane, oramai di casa pure loro all’Auditorium, tra l’altro già compagni di svariate formazioni, e qui leader di due trii. Il sassofonista californiano si presenta accompagnato dai fidati Gregory Hutchinson alla batteria e Reuben Rogers al contrabbasso in una formazione senza strumenti armonici che desta, almeno inizialmente, curiosità e grandi aspettative. Elegantissimi in un completo da cerimonia con tanto di fazzoletto, i tre attaccano con una classica Mack the Knife dove, esposto brevemente il tema al tenore, Redman si cimenterà in quei continui esercizi di stile che hanno da sempre caratterizzato la sua carriera, ma che a distanza di anni lasciano ora il tempo che trovano. Superati infatti gli anni d’oro in cui lui e lo stesso Mehldau venivano dipinti come il meglio per quella generazione di jazzisti, Redman negli anni e’ forse quello che ha progredito meno rispetto ad altri, restando spesso un idolo soltanto per i musicisti. Anche in questa occasione non aggiunge davvero nulla di nuovo: virtuosismi, pattern veloci e salti tonali a più non posso, con i brani che non riescono mai a coinvolgere il pubblico e che faticano a crescere, rimanendo spesso statici dall’inizio alla fine. I suoi compagni di palco, per quanto bravi ed estremamente puliti, non riescono nemmeno loro a garantire una minima varietà ritmica, in un interplay finalizzato soltanto a privilegiare le doti tecniche di Redman. E così, tra standard piuttosto noti, ma per nulla personalizzati, e sue composizioni che non brillano certo per originalità, dopo poco più di un’ora di spettacolo i tre lasciano il palco prima di concedere i due bis finali, in una serata che regala parecchie delusioni per un personaggio che, per quanto abbia ormai atteggiamenti da star, in sostanza pare aver quasi esaurito la verve sprigionata in gioventù.


Ben più articolato e meno banale il concerto, ma anche la carriera, di un Brad Mehldau che si presenta in testa al suo classico trio, completato da Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria. Famoso per le sue esplorazioni nel campo pop e rock, il pianista, come spesso accade, concede una prima parte di concerto lenta e difficile, tra omaggi a Charlie Haden e Chico Buarque e composizioni a firma degli stessi Mehldau e Ballard, con i brani che seguono un andamento monocorde, incentrati nei lunghi ed articolati monologhi del pianista. A prescindere dal repertorio scelto Mehldau è comunque bravo a rendere del tutto personale ogni tema affrontato, caricando ogni composizione di una tensione che sembra non risolversi mai, controbilanciata dai lunghi e fin troppo percussivi soli di batteria di un Ballard che sembra quasi voler sprigionare quell’energia e quella carica emotiva accumulata durante lo scorrere dei brani. Di raccordo la classe dell’incedere impeccabile delle corde di Grenadier, vero trait d’union di due personalità forti e contrapposte. La seconda parte, di contro, appare finalmente più rilassata e romantica dove a venir fuori è questa volta il lirismo del pianista sia nei ritmi bebop più veloci della Parkeriana Crazeology, sia e soprattutto nella rivisitazione di Si Tu Vois Ma Mère di Sidney Bechet che meglio non poteva concludere un concerto che per larghi tratti ha regalato anche grande musica.