Alessandro Scala Quintet – Bossa Mossa

Alessandro Scala Quintet - Bossa Mossa






Alessandro Scala: sassofono tenore e soprano

Leonardo Carboni: tromba

Michele Francesconi: pianoforte

Paolo Ghetti: contrabbasso

Stefano Paolini: batteria







Con il quintetto di Alessandro Scala si fa un viaggio tra le varie sfumature del jazz più accattivante e ballabile. Evidente l’influenza, nei primi brani, del Sonny Rollins dei primi anni ’60, quando, con dischi come What’s new?, il sassofonista di Harlem faceva ballare tutta l’America al ritmo della bossa-nova. Rollins è certamente in cima alla classifica dei sassofonisti preferiti da Scala: il suono corposo del suo tenore, ritmicamente impeccabile e usato in torrenziali improvvisazioni è il marchio di fabbrica di questo disco. Il resto del gruppo segue il leader magistralmente: il contrabbasso di Paolo Ghetti, solidissimo, mette sia lo stesso Scala sia la tromba di Carboni nelle condizioni migliori per potersi lanciare in convincenti assoli.


A parte le reminiscenze rollinsiane, comunque, Bossa Mossa è un album variegato, che presenta l’abilità strumentale e compositiva del leader: quasi tutti i brani sono firmati del leader, tranne uno scritto da Paolini, che merita una menzione speciale non solo per il suo accompagnare impeccabile, ma anche per l’inventiva che mette nei suoi soli. L’incedere dei musicisti è perfettamente conforme allo stile hard-bop (talvolta addirittura funky, come in Minghè, che vede uno scattante Carboni, o Easily, dal titolo esplicativo) e al latin, rendendo la musica particolarmente accattivante; risulta un po’ troppo liquido lo stile di Scala al soprano, ma per il resto i suoi assoli sono ben suonati. Un po’ sotto le righe invece il pianoforte di Francesconi, che con la sua limpidezza e leggerezza sembra non particolarmente a suo agio in questo contesto: comunque, regge bene il gioco dei compagni di squadra. Brani come Crilù, Tension, Sogni felici o la title-track risultano dunque convincenti e ben calibrati.


Con Alex Groove, invece, si cambia musica (e non solo in senso metaforico): subentrano infatti suoni digitali a sostenere la batteria di Paolini, e qualche strizzata d’occhio allo smooth jazz e all’acid non manca. Fuori luogo? No, in effetti no. Lo smooth jazz che riscuote tanto successo oggi nei club di mezzo mondo è infatti la continuazione naturale della ricerca di ritmi coinvolgenti che non ha abbandonato la storia della musica jazz dalle orchestre di Glenn Miller passando per tutti i generi esemplificati in Bossa Mossa: un lavoro piacevolissimo.