Dodicilune Dischi – Ed338 – 2015
Armando Calabrese: pianoforte
Un pianoforte, sette tra i brani più amati del repertorio jazzistico, un approccio schietto, senza infingimenti, ricco di trasporto e privo di qualunque intenzione di porsi al di sopra dei brani, con interventi fuori luogo. Al contrario: Calabrese si mette con gusto al servizio di temi immortali, resi celebri da una quantità enorme di interpretazioni, e aggiunge il suo contributo ad una storia ormai lunga, quasi secolare in alcuni casi.
Bouncing with Bud, Stella by starlight, Misty, All the things you are, Someday my prince will come e I loves you Porgy sono stati utili – insieme ad altri brani, sia chiaro… – nel corso della storia del jazz per stabilire la grammatica del linguaggio e operare rivoluzioni, per affermare le stelle di celebri interpreti e consolidare la comunità dei musicisti intorno alla loro funzione di standard e, quindi, di vocabolario comune. L’operazione proposta da Calabrese attraverso la sua interpretazione è spiegata, in modo davvero preciso, dal titolo. La domanda viene risolta nota dopo nota da una esecuzione sempre avvincente e tale da rendere evidente come sia possibile e del tutto appropriato suonare quei brani senza doverli rivoluzionare a tutti i costi, senza doverli stravolgere, ma semplicemente usarli per raccontare stati d’animo. Perché no, appunto: perché non goderne e lasciarsi portare dalle melodie verso l’esplorazione delle proprie emozioni.
Come è ovvio, una lettura jazzistica non è asettica, non vuole esserlo e, forse, non può per sua stessa definizione. E Calabrese si muove con naturalezza all’interno dei brani, facendo trasparire il proprio stile e le sue intenzioni pianistiche: gioca con i brani, apre spazi utili per le improvvisazioni e, senza tradire la sostanza e la storia dei temi, apporta la sua personalità e la sua idea di piano solo, una concezione, ancora una volta, ben radicata nella tradizione, ma capace di non rimanere sterilmente ferma sugli assunti di partenza.
E il “perché no” del titolo diventa una volta di più efficace a spiegare il lavoro fatto da Calabrese, nei quasi quaranta minuti del disco. Senza cercare rivoluzioni o personalismi, perché non provare a raccontare – o a raccontarsi – attraverso temi celeberrimi e condivisi? E la risposta è semplice e diretta ed è in un’interpretazione che, sin dalle prime frasi, senza forzature o dimostrazioni pirotecniche, conquista l’attenzione dell’ascoltatore.
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