La diciannovesima edizione del Premio Internazionale Massimo Urbani

Foto: Fabio Ciminiera










La diciannovesima edizione del Premio Internazionale Massimo Urbani

Camerino – 4/6.6.2015


Una tradizione importante, una testimonianza altrettanto fondamentale, un punto di incontro e passaggio per giovani musicisti, la voglia di portare nuove direzioni all’interno della rassegna. Questo, in estrema sintesi, il disegno della diciannovesima edizione del Premio Internazionale Massimo Urbani organizzato come ogni anno a Camerino da Musicamdo Jazz. Tutto il weekend è stato poi dedicato a Marco Tamburini, scomparso nei giorni immediatamente precedenti: un moto spontaneo, passato per i vari palchi del festival, nel ricordo dell’amico, e della sua musica.


Il concorso resta, come è ovvio, il centro della manifestazione. Dieci i finalisti, quest’anno, accompagnati con la consueta e sempre puntuale dedizione da Andrea Pozza al pianoforte, Massimo Moriconi al contrabbasso e Massimo Manzi alla batteria. La vittoria è andata ad ex aequo ai gemelli Giovanni e Matteo Cutello, rispettivamente al sax alto e alla tromba: hanno mostrato una sicura padronanza dello strumento e del linguaggio jazzistico, sicuramente notevole rispetto all’età di sedici anni, ancor di più se si considera la loro corporatura minuta. Se sono apparsi senz’altro più sciolti la domenica pomeriggio, durante il concerto riservato ai vincitori con il supporto del quartetto guidato da Maurizio Urbani, e la loro performance ne ha ulteriormente beneficiato, già sul palco del Teatro Marchetti avevano impressionato per tecnica e soluzioni scelte. Certo, si potrebbe osservare che erano entrambi in possesso dei requisiti per conquistare il concorso – giovane età e capacità strumentali, abbellimenti ben scelti nella gestione dei temi e forza esplosiva – ma, d’altro canto, si tratta di due talenti con una prospettiva fuori dal comune se verrà sviluppata con gusto ed equilibrio. Naturalmente, una gara musicale non è come una gara di corsa: il risultato finale non può essere altrettanto univoco. Gli altri riconoscimenti – il podio, le borse di studio, i premi del pubblico e della critica – hanno dato la giusta visibilità ad un parterre di finalisti di buon livello: musicisti in possesso di qualità interpretative e in grado di esprimere le peculiarità personali, in modo apprezzabile e di mettere in mostra il percorso compiuto finora. Oltre ai già citati Giovanni e Matteo Cutello, i finalisti della diciannovesima edizione sono stati, in ordine alfabetico, Alessandra Abbondanza, Alessio Busanca, Claudio D’Amato, Riccardo Federici, Gianluca Figliola, Matteo Pastorino, Alessio Pignorio e Paride Pignotti. Dal punto di vista del presentatore – un onore assegnatomi per la seconda volta dal Premio – si sono notati tutti i timori, le soddisfazioni, la rilassatezza dopo aver capito di aver ingranato una connessione efficace per quanto istantanea con la ritmica, le discussioni sulle soluzioni scelte e sulle frasi suonate sul palco con gli altro concorrenti in una atmosfera serena e compartecipata.


Il ricordo di Massimo Urbani e l’idea di trovare talenti giovani, di dare uno spazio a musicisti emergenti è da sempre l’idea di Paolo Piangiarelli ed è il testimone raccolto con convinzione da Musicamdo. La pubblicazione da parte di Philology di Live in Chieti 1979 del Maurizio Urbani Quartet, promosso durante il festival, trova una sponda nel più ristretto catalogo discografico proposto da Musicamdo, legato alle attività dell’associazione e ai vincitori del concorso. L’idea di inerire nel programma un concerto del vincitore dell’anno precedente con un suo progetto, come quella di offrire al “nuovo” vincitore la ribalta del concerto del sabato pomeriggio, rappresenta un senso di continuità e di vicinanza al percorso dei musicisti premiati e ma anche l’opportunità di incontrare con un concerto dal vivo il pubblico di Camerino, la critica presente e, perché no, il resto del mondo del jazz tramite rete e social network. La presenza di Maurizio Urbani nelle jam session e nel concerto del vincitore è un elemento da non sottovalutare per forza trascinante e simpatia umana: con il sassofono o per mezzo di aneddoti e battute è diventato negli anni un tassello imprescindibile del premio.


La prima serata della rassegna, al termine dell’esibizione dei concorrenti, ha presentato sul palco Enrico Rava accompagnato dalla ritmica residente, vale a dire Pozza, Moriconi e Manzi: il concerto è stato dedicato a Marco Tamburini con la proiezione delle foto scattate da Andrea Feliziani. Un concerto intenso, suonato con partecipe e visibile commozione da parte di tutti e quattro i musicisti, declinato soprattutto in una dimensione lirica e melodica a partire da una versione estremamente ispirata e toccante di Portrait in black and white. È sempre difficile dire qualcosa in occasioni come queste: al dolore per la scomparsa di Marco Tamburini, si aggiunge la sorpresa per il modo improvviso e inatteso con cui questa è avvenuta. La musica dal palco e le immagini di Tamburini hanno detto e raccontato e ricordato molto più di quanto fosse possibile fare con delle semplici parole. Il concerto ha permesso a ciascuno dei presenti di entrare in contatto con i sentimenti più intimi e i ricordi legati a Marco: attraverso le forme della musica, più profonde e meno stringenti delle parole. Un concerto intenso, si diceva, e non poteva che essere così, con i musicisti concentrati e compiti, con il pubblico in un silenzio pieno di comprensione e di vicinanza, con i brani suonati in modo davvero presente.


La seconda serata sul palco del Teatro Marchetti, nell’attesa della proclamazione dei vincitori, si è conclusa invece con il concerto del trio guidato da Eugenio Macchia. Il percorso scelto da Eugenio Macchia – con Giuseppe Bassi al contrabbasso e Marco Valeri – sceglie un formato per il piano trio aperto e moderno: forte attenzione alla scrittura, predisposizione a sfruttare in modo efficace le caratteristiche dei singoli componenti del trio, il rispetto per le tradizioni del jazz affiancato all’intenzione di utilizzarli in modo personale. Un percorso costruito con una buona coerenza complessiva: Macchia mette a frutto nelle composizioni uno stile particolare, allo stesso tempo ricco e leggero, grazie a frasi lunghe e dense di note suonate però con molta attenzione alle dinamiche e ai volumi. Il programma della rassegna è stato poi costellato da diverse esibizioni affidate a giovani musicisti come il quartetto di Gabriele Milozzi e al Raymond Quintet con la presenza speciale del trombettista Giacomo Uncini oppure alla Opus 1 Big Band diretta da Antonangelo Giudice.


Sia R.Ha.R.F. – il progetto di musica elettronica che vede insieme DJ Ralf, Enrico Rava, Gianluca Petrella, Giovanni Guidi e Leonardo Ramadori – che la festa finale della domenica sera affidata a Mistura Pura e Alberto Napolioni hanno portato al Premio Internazionale Massimo Urbani l’incontro tra approccio jazz e elettronica. R.Ha.R.F. affianca diversi strati nel disegno sonoro: fiati, tastiere e percussioni si confrontano con le manipolazioni e con gli interventi sulle frasi prodotte dagli strumenti. La situazione si sgancia dai linguaggi e dalle modalità solite del jazz: improvvisazione e interplay si spostano dalle frasi e dal dialogo tra armonie e solista al confronto tra le scelte sonore e alle successive interazioni innescate dai protagonisti. Volumi decisamente sostenuti e atmosfera da dancefloor – soprattutto nelle prime file – completano il quadro. La serata finale ha visto in pratica un doppio set: prima un DJ set dedicato all’hard bop e al jazz più ricco di groove degli anni ’60 ben curato da Mistura Pura, al secolo Federica Grappasonni, e, a seguire, il set elettronico del pianista Alberto Napolioni.


Alle soglie della ventesima edizione, il Premio Internazionale Massimo Urbani si interroga sulle possibili strade da prendere per il suo futuro. Se Massimo Urbani resta, come è ovvio e giusto, il nume tutelare per la storia, per la figura, per il suo talento espresso in modo tanto precoce quanto travolgente, è altrettanto giusto esplorare aspetti diversi della scena attuale: per molti dei partecipanti si tratta spesso della prima occasione di confrontarsi con musicisti e realtà diverse dalle solite e offrire una situazione variegata permette loro – ai veri protagonisti della rassegna – un’esperienza completa e significativa sotto ogni punto di vista.



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