Scottish National Jazz Orchestra – American Adventure

Scottish National Jazz Orchestra - American Adventure

Spartacus Records – 2014




Scottish National Jazz Orchestra:

Tommy Smith: direttore, conduttore, sax tenore

Ru Pattison: sax alto, sax soprano

Martin Kershaws: clarinetto, sax alto

Konrad Wiszniewski: sax tenore

Bill Fleming: sax baritono

Ryan Quigley: tromba, flicorno

Cameron Jay: tromba, flicorno

Tom MacNiven: tromba, flicorno

James Marr: tromba, flicorno

Chris Greive: trombone

Phil O’Malley: trombone

Michael Owers: trombone basso

Brian Kellock: pianoforte

Calum Gourlay: contrabbasso

Alyn Cosker: batteria

ospiti:

Mike Stern: chitara

Kurt Elling: voce

Joe Locke: vibrafono

Donny McCaslin: sax tenore

Dave Kikoski: pianoforte

Dave Liebman: sax soprano

Brecker: tromba

Bill Evans: sax tenore

Michael Dease: trombone

Joel Frahm: sax tenore

Clarence Penn: batteria






Tra i talentuosi dell’ultima generazione, difficile sottostimare o ignorare i recenti exploit del corposo tenorista da Edimburgo, attivo anche come compositore ed educatore musicale, che dall’apparizione nelle fila di Gary Burton fino nelle più recenti e paritarie in trio-choc con Andersen e Vinaccia ha saputo segnare una firma di carisma.


Tommy Smith torna peraltro ad organizzare fila e parti strumentali della Scottish National Jazz Orchestra, formazione in realtà da egli costituita un ventennio fa, e che alimenta tonici forma e profilo in buona parte cimentandosi con guest-stars spesso d’alta quota, tra le quali Kenny Wheeler, Joe Lovano, Peter Erskine e via dicendo.


L’avventura americana in oggetto pone sulla punta avanzata del palco nomi consolidati della scena d’oltre Atlantico, prevalentemente delle correnti fusion, ma non in esclusiva.


Si scalda adeguatamente la pista con l’immediato decollo capitanato da Mike Stern, di rotta assai sicura, forte di lunghe radici elettriche e sempreverde baldanza, che sul finale di Splatch vivacizza il tutto, ma senza vittime, in un testa-a-testa con il batterista della falange, lanciato assai più oltre dei minimi sindacali.


Si potrà stigmatizzare di “old-school” la performance pomposa ma alla lunga monocorde del crooner Kurt Elling, ma la spettacolarità si rianima con i funambolismi in levità delle lamine di Joe Locke (Yes or No), a conferire godibilissima vivacizzazione ad una performance che tocca i suoi picchi nell’innegabilmente rocciosa autorevolezza di Dave Liebman, saettante e torrenziale, in serpiginosa e spedita crociera sotto una diteggiatura infuocata e infallibile, dividendo scena e note con un non meno ispirato e in parte Donny McCaslin in Pendulum, laddove un certo spirito breckeriano volteggia grazie al tonico sax di Bill Evans nel coreiano Quartet no. 1, ed il titolare-direttore senza fatui protagonismi non manca di ritagliarsi una parte su misura nella classicheggiante (e alquanto costrittiva) Duke Ellington’s Sound of Love, elogiando in volata le prestazioni di qualità degli altri titolati ospiti, variamente funzionali al disvelamento dinamico e grintoso della collettiva falange.


Sindacare, peraltro, sull’attualità di questo canone formale, da parte di chi non amasse d’istinto la formula orchestrale, oltre che inopportuna negazione del valore di questo fondamentale laboratorio storico, sarà scongiurato dall’attenzione verso la valenza spettacolare del corpo insieme animale e sensitivo dell’Orchestra, procedente con plastica movenza e fluida disciplina nell’articolazione di un songbook catturante, pulsante carrier transatlantico che deve al dotato leader l’importazione di cardinali influssi e vitali correnti, assumendo un complesso corpo performante che per più versi potrà ritenersi di trasversale e contagiosa fruibilità.