Bari in Jazz 2015

Foto: Fabio Ciminiera










Bari in Jazz 2015

Provincia di Bari – 27/30.6.2015

L’edizione 2015 di Bari in Jazz segna un cambiamento importante per il suo svolgimento. La rassegna abbandona la formula del weekend concentrato su un palco centrale e attorniato da eventi collaterali per diventare festival metropolitano, aperto alle tante realtà del territorio barese e spalmato su un periodo di quasi venti giorni. La scelta non deve essere stata facile – basti pensare alle questioni legate alla logistica di venti palchi dislocati in altrettante piazze diverse – e sicuramente ha avuto aspetti positivi e negativi: se si è perso qualcosa per quanto riguarda la fidelizzazione del pubblico si sono raggiunte persone che difficilmente avrebbero seguito i concerti nelle sedi abituali o secondo le dinamiche e i contesti tipici del festival. Un fatto sicuramente positivo è stata la possibilità di offrire visibilità attraverso una manifestazione internazionale a luoghi di grande suggestione come Alberobello, Conversano, Giovinazzo, Gravina di Puglia oppure a centri meno presenti nei circuiti turistici come Acquaviva, Sannicandro o Turi. Ovviamente la lista dei pro e dei contro potrebbe proseguire, scoprendo, alla fine, che ogni elemento preso in considerazione comporta una ricaduta in entrambi i sensi.


I quattro concerti seguiti durante il festival hanno spaziato davvero in direzioni tra loro divergenti e – sia pure attraverso la casualità offerta dalla successione degli appuntamenti – hanno offerto maniere diverse di rapportarsi all’improvvisazione e alle tradizioni. Il riepilogo dei luoghi e dei concerti è presto fatto: il duo formato da Hamid Drake e Pasquale Mirra, in concerto ad Alberobello, il 27 giugno; il piano solo di Dado Moroni a Turi, il 28 giugno; Special Dish, il nuovo quartetto di Cristina Zavalloni a Conversano il 29 giugno; Ebo Taylor e l’esplosione di afrobeat della sua band ad Acquaviva, il 30 giugno.


Hamid Drake e Pasquale Mirra danno vita ad un concerto estremamente melodico e delicato. Le improvvisazioni si fondono in un dialogo tanto controllato dal punto di vista delle dinamiche quanto caldo e suggestivo. Il tocco si trasforma in suono con estrema fluidità, il gesto accompagna l’ascoltatore nel racconto e nelle emozioni, la libertà espressiva e la conoscenza reciproca si rivelano i mezzi utili per esprimere il canto e la forza dell’incontro tra i due musicisti. Suoni, voci, gesti, racconto, sguardi, il particolare scenartio offerto da l Trullo Sovrano, tutto converge a creare una atmosfera magica, sospesa tra echi e risposte, tra il caldo della serata estiva, il candore dei muri e la capacità di affabulare della musica del duo. Le percussioni cantano, la voce aggiunge accenti e “spezie” al racconto: di Drake e Mirra attraversano mondi e intenzioni, portano con sé attitudini ancestrali primigenie, le accostano alle varie sovrastrutture aggiunte nei secoli e compiono una sintesi naturale, non forzata, vissuta con convinzione e riportata in ogni nota.


«Non preoccupatevi, se parlo tanto: non lo faccio per suonare meno, anzi…» Dado Moroni conclude così il suo primo intervento al microfono, annunciando al pubblico, in pratica, uno spettacolo doppio. Piano solo e racconti, il pianista ha portato il pubblico presente a Turi all’interno delle sue storie del jazz. Una vera e propria lezione di jazz, condotta con gusto, eleganza e ironia, interpretata con maestria alla tastiera, appassionata e discreta nel porgere fatti personali, anche intimi in alcuni casi, e aneddoti a margine di concerti e ascolti. Il filo logico offerto dalla storia del pianoforte nel jazz e dalle interpretazioni sempre profonde, efficaci, emozionanti – come da felice consuetudine, d’altronde, quando Moroni lascia scorrere le mani sulla tastiera – ha preso le mosse dai primi pianisti del jazz, è passata per le melodie composte da Ellington e Strayhorn per arrivare infine alle composizioni del pianista. E, di volta in volta, i ritratti dei primi Maestri evocati con leggerezza sapida, gli incontri avvenuti nel corso della carriera, le suggestioni che hanno ispirato i brani scritti da Moroni.


Una cantante eclettica per carriera, esperienze e interessi, un trio solido, affiatato da collaborazioni comuni, dotato ormai di una voce riconoscibile. Questi in sostanza gli ingredienti di Special Dish, il quartetto portato sul palco di Conversano da Cristina Zavalloni e che vede protagonisti, insieme alla cantante, Cristiano Arcelli al sax alto, Daniele Mencarelli al basso elettrico e Alessandro Paternesi alla batteria. L’incontro tra l’attitudine versatile e l’intenzione di mettere in evidenza la propria personalità diventano perciò il terreno di gioco del concerto. Il Brasile, lo sguardo alle tradizioni popolari, il repertorio colto, una certa prospettiva post-rock, le avanguardie europee e, naturalmente, il jazz nelle sue tante declinazioni. Se, nell’accostamento dei vari tasselli, il quartetto non si scompone di fronte a salti netti o spiazzanti, a scarti improvvisi, nel complesso del concerto emerge chiara l’intenzione di esplorare i vari contesti stilistici ed espressivi con il “suono” del quartetto: scelta del tutto naturale visti i percorsi dei quattro musicisti e resa possibile in maniera efficace ed elastica dalla compattezza del trio. Il passo indietro, utile per rendersi conto del disegno, è dato dalle parole con cui Cristina Zavalloni introduce brani e ne riporta le vicende che hanno condotto alle singole scelte, ne ricorda la presenza nei dischi o la connessione con progetti precedenti.


Il concerto di Ebo Taylor ha forse rappresentato con maggiore evidenza il senso della scelta compiuta dal festival. Una piazza difficile da gestire per un concerto, con al centro una Cassa Armonica in muratura – il gazebo, vale a dire, dove si esibiscono le bande – e una strada tutta intorno. La soluzione dell’Afrobeat, di una band ricca di elementi, dai tanti suoni e colori nel proprio bagaglio espressivo si è rivelata vincente: andare verso il pubblico, senza per questo derogare la qualità dell’offerta. Ebo Taylor, infatti, ha messo sul piatto una band composta da sette elementi, una musica ricca di propulsione ritmica, ostinata e coinvolgente, un canto secco, diretto ed essenziale, colorato, quando necessario, da melismi, sostenuto da impulsi elettrici e dalle esplosioni sonore dei fiati: un filo concreto che unisce l’Africa al blues e al reggae, profondamente intrecciato con le radici e abile nell’accogliere la modernità e i suoi “riflussi”, come mostra, ad esempio, la stratificazione temporale degli strumenti portati sul palco. Se si vuole, lo stesso filo lo si può riscoprire seguendo un ragionamento del tutto opposto: vale a dire, la capacità di mettere in evidenza il fattore “africano” comune a tutte le musiche attraversa da Taylor nel suo concerto.


L’idea di festival metroppolitano, proposta da Bari in Jazz, rappresenta una strada percorribile in risposta alla crisi e, in generale, al particolare momento vissuto dalla cultura e dalla musica dal vivo, un esempio a disposizione di altre realtà. Non è certo la prima volta che si assiste alla delocalizzazione di un evento, ma la scelta, in questo caso è stata del tutto radicale: si è messa completamente da parte la centralità di un palco, ogni situazione ha avuto pari dignità e identico trattamento. Come si diceva, ci sono pro e contro: l’equilibrio viene raggiunto con una ricetta rivolta a mantenere vivo il legame con le precedenti edizioni attraverso, ad esempio, alcuni personaggi già presenti nei cartelloni degli anni scorsi e con soluzioni nuove ma ben calibrate sugli spazi a disposizione, oltre alla continuità organizzativa dello staff di Abusuan. La visione complessiva del programma – sia per quanto riguarda gli artisti invitati che i posti dove si sono tenuti i concerti – propone uno sguardo vario al jazz di oggi, con la presenza sui vari palchi di talenti emergenti e nomi consolidati, musicisti diversi per provenienza geografica e riserva anche una certa attenzione al jazz europeo o comunque non necessariamente statunitense. Vedremo nelle prossime stagioni, se il festival proseguirà con la dimensione metropolitana e se l’esempio verrà seguito da altre rassegne.



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