ECM Records – ECM2377 – 2015
Sinikka Langeland: kantele, voce
Lars Anders Tomter: viola
Trygve Seim: sax tenore
Markku Ounaskari: percussioni
Dismessi titolati sidemen quali Anders Jormin e Arve Henriksen permangono, braccia armate e identità di rilievo, Trygve Seim, e l’egualmente fedele Markku Ounaskari, ma diremmo che nel bilancio acustico e nel ricercato soundscape dell’album s’afferma ed è di particolare ruolo la collocazione e la sfaccettata prestazione della viola di Lars Anders Tomter (proveniente dalla più “tradizionale” incisione Maria’s Song), che devia e orienta su un diverso profilo cameristico, in ciò particolarmente coadiuvato dalle duttilità del sassofono di Seim, accorto soffiatore dalle ance di brace e spiccatamente abile a modellarsi in cangianti forme aeree; solo occasionalmente arruolato nel ruolo di drummer, Ounaskari qui opera per articolazioni percussive di intercalari thriller e solenni, importanti nella spazializzazione sonora dei diversi momenti narrativi. Non ultimo, colpirà la netta, ulteriore maestria di Langeland nel conferire corpo e ruolo espressivo al suo antico e peculiare strumento a corde, impiegato con ampia personificazione, estesa a mimare un instrumentarium di elementi non sempre apparentabili, dall’ arpa alla chitarra.
Dopo il solenne, notturno incedere di Hare Rune, erompe la febbrile, forte tenerezza di The night streams in, di centralità espressiva entro i canoni del cantato di Langeland, introducendo le coralità tenui e distanti del languido The white burden, ulteriormente distillate nel successivo, incantato The half-finished Heaven, di sottili transazioni e passaggi di voce strumentali. The woodcock’s flight tratteggia compunto fioche luci da fine dell’inverno e disgelo del cuore, più oscure e cadenzate risuonano le suggestive teatralità di Caw of the Crane, e il melanconico paesaggio autunnale di The tree and the sky, e l’animato Magical bird è il più letterale passaggio in jazz, sia pur in tale speciale formula. Nette le linee di Hymn to the Fly, preludendo alle brulicanti bizzarrie dell’epilogo in Animal miniatures e Animal moment.
Minori inquietudini nelle speciali morfologie cameristiche, parzialmente distanti dalle grandi (seppur di grande fascino) contraddizioni formali di Starflowers e The Land That Is Not (evoluzioni “in jazz” – sia pure per alchimie poco usuali, talvolta misteriose – di un precedente percorso tradizional-pop culminato nel movimentato Runoja); studiatamente naturali, le mirabili figurazioni dei quattro definiscono ulteriormente le logiche creative di Sinikka Langeland, tra misticismo naturale (non deducibile soltanto dalle tematiche dei titoli) e ricerca formale, che appare alleggerita dell’elevato (alle nostre orecchie) peso specifico consonantico della dizione e delle (apparenti) dissonanze.
Graziato dalle speciali sensibilità melodiche del sintonico quartetto, The half-finished Heaven è lavoro “meno jazz” (àmbito cui Langeland ha sempre contribuito con modalità alquanto peculiari) ma anche meno devoluto al cantato che in precedenza, comunque sempre incentrato su sensibilità e materiali poetici (qui attingendo a materiali del Nobel letterario Tomas Tranströmer) – di spiccata “impellenza”nel governare la traiettoria creativa dell’autrice norreno-finnica, in ulteriore e speciale stato di grazia, intelligentemente (e spontaneamente) “sospeso” ma insieme fortemente progettuale, che rinnova ulteriormente una posizione estetica assai personale – aliena nelle attenzioni di più fasce di jazz-listeners, ma operosa e coerente nell’avocarsi una cittadinanza (anche) in jazz, se per tale s’intende almeno l’intento della progressione formale e l’ampliamento dell’orizzonte estetico.
Link di riferimento: http://player.ecmrecords.com/langeland-2377