Foto: Fabio Ciminiera
Alba in Jazz: Fiorella Mannoia e Raffaele Casarano 5et
Tricase (Marina Serra), Locomotive Jazz Festival – 4.8.2015
Fiorella Mannoia: voce
Raffaele Casarano: sax soprano, sax tenore
Marco Bardoscia: contrabbasso
Carlo Di Francesco: pianoforte
Marcello Nisi: batteria
Alessandro Monteduro: percussioni
Un’esperienza, un rito, un’emozione condivisa, intensa, diversa dalle solite. Il Locomotive Jazz Festival propone per il terzo anno consecutivo un appuntamento davvero fuori dal comune: un concerto in riva al mare, il sole che sorge alle spalle del palco, l’arena naturale offerta dalla scogliera salentina.
La decima edizione del festival è stata sicuramente dedicata agli incontri e l’Alba in Jazz è forse una delle più palesi manifestazioni di questa linea. Come nelle precedenti edizioni, con Paola Turci o Giordano Sangiorgi, gli arrangiamenti, pensati e “organizzati” dal quintetto guidato da Raffaele Casarano, rivestono canzoni conosciute al grande pubblico e “avvolgono” l’interprete e il suo modo di proporre le canzoni. Fiorella Mannoia è stata la protagonista di un concerto davvero irripetibile, di un happening nel quale ogni minuto era diverso dal precedente, grazie alla combinazione di quello che avveniva sul palco e al cambiamento repentino delle condizioni della luce e, di conseguenza, delle reazioni del pubblico, dei riflessi sul mare, delle correnti e delle brezze.
Il palco è l’intimo punto di riferimento per il pubblico assiepato sulla scogliera sin dalla sera precedente. Un palco forzatamente ridotto, vista la conformazione della scogliera, illuminato fino a pochi minuti prima del concerto da alcuni faretti, lasciato poi alla luce naturale con l’arrivo dei musicisti sul proscenio. Si entra nell’arena dalle piccole stradine, dalle scalette e si viene accolti da un panorama brulicante di volti e voci, persone che si sono organizzate in modo diverso per affrontare la nottata, ognuno con il suo racconto da costruire nelle ore che portano al concerto, alla nuotata a fine esibizione, al cornetto con gli amici sulla strada del ritorno, alle fotografie da scattare durante i brani e, soprattutto, all’emozione di ascoltare e cantare le canzoni. Alle tre del mattino – un’ora prima dell’inizio del concerto, il momento in cui siamo arrivati nei pressi del palco – lo spettacolo offerto da quasi cinquemila persone era davvero unico. Si scende verso il mare, attenti all’equilibrio precario di ogni passo, preoccupati dalle rocce e dalle fenditure che via via arrivano sotto i piedi, ma anche divertiti e dalle parole scambiate con le persone conosciute, da tempo o nei giorni del festival, ma anche con chi si incrocia per la prima volta mentre si attraversa il pubblico.
Il senso dell’incontro è stato il tratto ha guidato l’operazione musicale sui brani del repertorio della cantante romana. Raffaele Casarano, nell’intervista realizzata nel pomeriggio seguente – e che potrete ascoltare presto su Jazz Convention – ha utilizzato come chiave per descrivere il lavoro fatto la parola “semplicità”. Le melodie, al centro del caleidoscopio attraverso cui sono state riviste le canzoni, sono rimaste sostanzialmente immutate, le armonie, le atmosfere, le suggestioni sono state modificate secondo percorsi differenti. Il trattamento operato dal quintetto è stato rivolto a creare gli spazi per far entrare gli assolo e le improvvisazioni, per dilatare con introduzioni e code le possibilità a disposizione dei musicisti: l'”elemento jazzistico” affiancato con naturalezza nel complesso del concerto, senza cercare di prevaricare la canzone, senza rimanere vincolati un mero ruolo coloristico. La dilatazione, ad esempio, di Via con me di Paolo Conte – se si vuole, il più swing-oriented in scaletta – è significativa di un’intenzione aperta, capace di non accontentarsi di un percorso già tracciato. L’omaggio ai vari cantautori italiani, attraverso alcune pietre miliare del genere, poteva essere un’arma a doppio taglio. L’equilibrio tra assecondare la lettura consolidata e intervenire con piccole o grandi “manipolazioni” è stato raggiunto grazie ad un complesso di scelte mirate e ben assestate. La stessa Mannoia ha condiviso il filo tracciato dal quintetto con grande efficacia: emozione e mestiere si sono intrecciati nel dare una forma meno consueta a brani cantati magari centinaia di volte. Più volte, durante il concerto, la cantante ha sottolineato come stesse vivendo un’esperienza davvero al di fuori di ogni abitudine. La dimensione estremamente contenuta del palco, la vicinanza con le prime file, l’incombente scenario naturale, le continue trasformazioni della luce e dell’ambiente nel suo complesso hanno fatto il resto.
L’operazione complessiva porta ad una serie di riflessioni sulla partecipazione del pubblico e sulla capacità delle rassegne jazz di aprire il programma a situazioni appetibili anche oltre i soliti “recinti”. Mettere in piedi un concerto all’alba e in un posto simile non è una passeggiata. Gli ingredienti da mettere nel piatto sono molti: passione e organizzazione, lucida follia e costi dell’operazione, non ultimo il “dialogo” con le burocrazie delle amministrazioni responsabili degli scenari coinvolti. E, infine, il rapporto con il pubblico: coinvolgere cinquemila persone, farle uscire all’alba, far fare loro la nottata su uno scoglio, farle camminare per chilometri sulle stradine che portano al mare. Di sicuro, se ci sarà chi storcerà la bocca sulla presenza di cantanti pop o rock all’interno di un festival jazz, la risposta definitiva l’ha data il contesto in cui si è svolto il concerto. Alla fine prevale l’idea dell’incontro – come, tutto sommato, nel resto del cartellone del Locomotive – e si entra pienamente nel tema scelto per il decennale del festival, vale a dire “L’Equilibrista”. Con buona pace degli amanti degli steccati di genere non è stato un concerto di jazz né di canzone d’autore: è stato un incontro, non solo tra jazz e canzone d’autore, ma anche tra differenti anime del pubblico, la possibilità di condividere un concerto tra amici che normalmente non si ritrovano insieme sotto lo stesso palco. È stato anche un veicolo pubblicitario per il festival e ha offerto la possibilità di raggiungere persone e organi di stampa difficilmente avvicinabili in altra maniera, veicolo condotto in maniera matura, senza svendere o svilire nulla. Se poi qualcuno tra i cinquemila presenti, domani o dopodomani, si ricorderà che il jazz non è una musica che morde e tiene lontani, ma inizierà un percorso di avvicinamento, magari lento e compassato, e proverà nei prossimi mesi a frequentare i club, i teatri o i festival dove si suonerà del jazz, ancora meglio. L’evento – parola abusata nell’era dei social network, ma appropriata in questo caso – rende le emozioni legate alla musica e al concerto del tutto svincolate dalle consuetudine. Ed è forse questo l’aspetto da sottolineare con maggior forza: se si vogliono coinvolgere le persone, occorre offrire loro un motivo; se si vogliono coinvolgere le persone sul proprio terreno, bisogna prendersi dei rischi.
Ma, davvero, come si diceva all’inizio, è stata un’esperienza fuori dal comune, condivisa da tantissime persone: ognuno ha vissuto la notte in scogliera secondo una sua particolare prospettiva, riprendendo la strada di casa a giorno fatto, con il racconto da riportare a chi non c’era oppure da ricordare insieme agli amici che, magari, hanno visto il concerto dall’altra parte dell’arena.
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