Slam Productions – SLAMCD 296 – 2015
Paul Dunmall: sax tenore, flauto, saxello
Tony Bianco: batteria
«Oramai solo i poeti lo capiscono». È celebre questa frase con cui Elvin Jones sancì il suo distacco da John Coltrane. In quegli anni immediatamente precedenti alla sua morte, il grande sassofonista, come presago del suo destino imminente voleva attingere a dimensioni sonore mai raggiunte, prima. Era divorato dall’assillo tormentoso di dire l’indicibile. A testimoniare questo periodo ci sono incisioni storiche come Meditations o Expressions, ma anche quell’Interstellar spaces inciso in duo con Rashed Alì e uscito postumo. È a quest’ultima incisione che s’ispira questo tributo che vede protagonisti il sassofonista inglese Paul Dunmall, attivo da anni sulla scena più radicale del jazz britannico e il batterista americano Tony Bianco. I due utilizzano per il loro intricato e ardente percorso improvvisativo una serie di brani che raccontano un po’ tutta la vicenda artistica di Trane: da Ascension a A Love Supreme, da Alabama a Ogunde. È qualcosa di più di un semplice omaggio: una lunga preghiera, un rito ancestrale di evocazione dell’ombra di quello che Dunmall, nelle note di copertina, definisce come il più grande musicista mai vissuto.
Probabilmente con questo doppio Paul Dunmall e Tony Bianco intendono dimostrare come l’ultimo Trane avesse già lasciato tracce di sé già in Giant Steps e che ha poco senso parlare di Coltrane diversi. Assunto interessante, ma non particolarmente nuovo.
Ancora più probabilmente i due vogliono semplicemente abbandonarsi al flusso incessante d’idee e suggestioni, alla spiritualità lacerata che la musica di Coltrane sa evocare. Ovviamente si avverte la sfida, la provocazione di misurarsi con le ultime, arroventate, prove del genio di Hamlet; quelle che lo avevano in qualche maniera isolato dalla comunità jazzistica.
Il risultato di questo approccio sono due dischi, entrambi live, che documentano molto più di due ore di musica. Improvvisazione pura e furente, feroce, intessuta di oscurità e grida.
L’ascoltatore resta ammirato e perplesso. Ammirato dal coraggio e dalla bellezza delle intenzioni dei due, perplesso sull’utilità di presentare questo “Coltrane senza Coltrane”. Talora anche provato dalla eccessiva durata di questa maratona improvvisativa.
In ogni caso questo Homage non suscita mai indifferenza. Riattizza vecchie discussioni, fa pensare e anche arrabbiare. Il che non è poco.