Abeat Records – ABJZ531 – 2015
Alessandro Giachero: pianoforte, piano preparato
Antonio Santoro: flauto, flauto contralto, flauto basso
Eugjen Gargjola: violino
Maria Vicentini: viola
Silvia Dal Paos: violoncello
Stefano Risso: contrabbasso
Marco Zanoli: batteria
Alessandro Giachero, titolare di un trio jazzistico collaudato, incide questo disco aggiungendo al suo gruppo tre archi e un flauto, lanciandosi, in tal modo, in un’impresa piuttosto insidiosa. Non è facile, infatti, tirare fuori qualcosa di buono da una formazione così eterogenea. Il rischio, cioè, di finire nelle secche di una “third stream” superficiale e insipida, in questi casi, è dietro l’angolo. Il musicista alessandrino affronta il progetto con il giusto piglio, puntando molto sulla scrittura e sulle doti interpretative del settetto a sua disposizione.
La musica che si ascolta nel cd è ondivaga e frastagliata. Si colgono echi romantici e tardoromantici, in alcune tracce, accanto alla riscoperta di suoni arcaici e primordiali. Si individuano sequenze contrassegnate dalla frequente ripetizione di frasi con rimandi al minimalismo e puntuali proiezioni nel terreno prediletto del jazz in senso stretto (o largo). Giachero gioca su diversi fronti scivolosi riuscendo, però, a ricavare un timbro omologo da capo al fine del cd dai suoi partners e a dominare la situazione con un lavoro attento di guida e di rinforzo.
Il pianista espone i temi o l’idea degli stessi, oppure si inserisce determinando il clima dei brani, funzionando da termoregolatore, in un certo senso. Due pedine sono, poi, decisive per il buon esito dell’album: la libertà controllata concessa alla batteria e gli interventi contaminati o contaminanti del flauto. A Marco Zanoli è permesso di esprimersi con un solo continuo, in cui si percepisce la precisa intenzione coloristica delle percussioni. Più che tenere il tempo, il batterista suggerisce il carattere, la natura di sfondi ritmici movimentati. Antonio Santoro, flautista di confine fra opposti generi, sviluppa un incontro e uno scontro con il resto della band, facendo risaltare una voce contemporanea e piena di uno swing, a volte implicito, perfetta per questo tipo di operazioni. Il trio d’archi, da parte sua, non si limita a offrire un apporto classico o classicheggiante nelle varie tracce fornendo, inoltre, un forte contributo ritmico e rumoristico in alcuni frangenti.
Come scrive, poi, il pianista piemontese nelle note di copertina nel disco «attraverso la manipolazione del materiale compositivo si sviluppa l’improvvisazione, senza alcun tipo di forzatura stilistica». Il percorso dell’ensemble appare tanto pilotato a monte, invece, che si fatica ad individuare le parti inventate dai solisti. Questo non può che essere considerato un pregio, perché significa che l’ascoltatore avverte, in pratica, una sostanziale continuità fra i due elementi in gioco, tra quello che si legge nella partitura e quello che viene aggiunto dalla creatività dei singoli.
L’album supera i settanta minuti, ma ha rari momenti di stanca, questi dovuti all’iterazione troppo insistita di alcuni passaggi. Per il resto si può affermare che Giachero stia proseguendo nel suo cammino inquieto di ricerca di sempre nuovi ostacoli da superare con passo sicuro e convinto. Non è uno a cui piace fermarsi su una formula, anche se la stessa lo ha gratificato. Il bandleader va, invece, a caccia di un qualcosa che possa far salire ogni volta la sua musica su un livello più elevato e concretizzare insieme appieno le sue urgenze artistiche.