Catali Antonini – Persian Alexandria

Catali Antonini - Persian Alexandria

Klarthe – KRJ 002 – 2015



Catali Antonini: voce

Eric Prost: sax tenore

Stéphane Pelegri: pianoforte, Fender Rhodes, percussioni

Pascal Berne: contrabbasso

Yvan Oukrid: batteria



con:

Alfio Origlio: Moog, Fender Rhodes

Laurent Richard: sax soprano

Tamiko Kobayashi, Yaël Lalande: violini

SeungEun Lee: viola

Edouard Sapey-Triomphe: violoncello

Sabine Tavernard: flauto

Philippe Cairey-Remonay: oboe

Olivier Massot: fagotto

Raphaël Vuillard: clarino basso

Paul Tanguy: corno

Arnaud Geffray: cornetta

Frédéric Bourlan: trombone






Nel suo complesso la settima esperienza discografica della vocalist lionese di radici còrse, differenziata sul piano degli arrangiamenti e che segna per la stessa un ulteriore livello di maturazione, appare investita sul fronte di un assortito mainstream (ma la protagonista preferisce, orgogliosamente, collocarsi piuttosto entro il Third Stream) che non s’astiene dal coltivare soluzioni d’antan (recuperando perfino il semi-dimenticato Moog), riproponendo una line-up di sidemen nel complesso fedeli, ed arricchendo le fila con un gruppo cameristico di fiati, espresso in The Last Estruscan, stilisticamente centrale, versione evoluta di una vecchia improvvisazione in trio, ed apparentato per ispirazione alle correnti fusion del primo e più genuino periodo.


Segni e miti dell’antichità (frammiste ad icone pop) appaiono ricorrenti in tematiche e testi (oltre che nel titolo), transitando dall’eponima, rockeggiante e solenne Persian Alexandria alla capricciosa Dhelfi Epsilon, seduzioni veneziane (più particolarmente dal mondo di Corto Maltese) vengono poste in lirica in La strada verso Malamocco, abbordata in italiano (elemento che passerà da noi quasi inavvertito, essendo la dizione eclissata dal sofisticato effettismo della voce) ed impreziosita da un quartetto d’archi di tratto levantino; attraversando i climi tenui e crepuscolari della dedicataria Pavane pour un Clown, l’epilogo perviene ai passaggi elettroacustici della sferzante Nefertari’s Black.


Ricorrendo sovente ad un’esposizione semi-recitativa ed esplorando modalità “black” (traendo competenze e mimesi anche in base a quanto affinato nel progetto orchestrale Tribute to Lady Day), la cantante persiste entro i flussi ispirativi dominanti nella sua produzione, elargendo nell’album sviluppato in tandem con il pianista e arrangiatore Stéphane Pelegri (e a cui ci accostiamo con un certo anticipo rispetto all’uscita ufficiale) un «invito all’incontro e all’universalità, concependo ogni testo come un’istantanea, un’atmosfera, raccontando un viaggio tra le due sponde», lasciando magari più in filigrana «le leggende còrse o i colori dell’India di oggi» e conferendo più vita all’esortazione al viaggio nelle alternanze di scenario che caratterizzano il lavoro, articolato su una propositiva traiettoria stilistica, un rodato mestiere e, su tutto, un ben gestito protagonismo della voce.