Foto: Fabio Ciminiera
Talos Festival 2015
Ruvo di Puglia – 8/11.10.2015
E alla fine il Talos s’è fatto! Spostandosi in autunno e – di conseguenza – all’interno del Palasport di Ruvo, cambiando il programma, ma mantenendo le sue principali cifre caratteristiche. Le ineludibili questioni logistiche e programmatiche sono l’argomento di una intervista realizzata con Pino Minafra e che è online a questo link. Il Talos, sui suoi palchi, è stato fedele a sé stesso, al suo percorso, alle storie che lo hanno caratterizzato negli anni, pur tentando qualche escursione in terreni nuovi. Ma andiamo con ordine!
Come di consueto, le serate della sezione “internazionale” del festival accostano una “piccola” formazione a un grande ensemble. Louis Sclavis e Michele Rabbia hanno dipinto attraverso ance e percussioni un vero e proprio affresco di improvvisazione e dialogo, eseguito con misura, maestria e partecipazione: racconto e lirismo si mescolano e tratteggiano suggestioni sempre nuove. La musica diventa atto creativo e supera ogni convenzione e ogni steccato di genere: Sclavis e Rabbia mettono se stessi, gli strumenti al servizio dell’interazione e del sostegno reciproco. Vadim Neselovskyi e Arkady Shilkloper, rispettivamente pianista russo e cornista ucraino, hanno puntato all’incontro tra attitudine jazzistica e letteratura musicale europea: una musica rarefatta ricca di spazi e silenzi, punteggiata di immagini e rimandi ai paesi di origine. E, se fosse necessario, hanno ribadito come la musica sia un linguaggio universale in grado di andare oltre le divisioni e i confini: molte volte usiamo espressioni come questa in modo retorico, nel caso specifico la drammaticità della situazione politica tra i due paesi apporta un senso molto più concreto al concetto. Il piano solo come lectio magistralis sul jazz: una definizione meno eccessiva di quello che può apparire, visti il carisma e la metodica capacità di Franco D’Andrea di tenere sempre alta l’attenzione su alcuni elementi precisi nelle sue esposizioni. I grandi maestri, la libertà di improvvisare all’interno di griglie espressive ben precise, la misura accurata nel valutare il peso specifico di ogni singola nota per tracciare il filo complessivo del discorso.
Gli ensemble larghi chiamati quest’anno da Pino e Livio Minafra hanno guardato in direzioni tra loro. Cypriana di Nicola Pisani è un’opera dove si mescolano linguaggi e modi di intendere la musica e il racconto. Sul palco il sassofonista, esclusivamente in veste di direttore, porta un coro, un soprano, una voce recitante, strumenti moderni, jazz e rock, e strumenti delle tradizioni cipriote e calabresi per rivivere insieme al pubblico le vicende legate al raggiungimento dell’indipendenza dei ciprioti dal dominio inglese. Un’opera stratificata e complessa, ricca di significati e di riferimenti. Nelle prossime settimane ascolteremo direttamente dalla voce di Pisani la costruzione di un progetto davvero fuori dal comune. Un progetto da partecipare dal vivo, da ascoltare e guardare, per poter comprendere al meglio la complessità del suo svolgimento e i rimandi presenti al suo interno. I Funk Off sono ormai conosciutissimi al pubblico nazionale, anche al di fuori dei confini del jazz. La verve e la solidità della band guidata da Dario Cecchini costituiscono un marchio di fabbrica talmente forte da risultare riconoscibile dopo poche note: funky, brani originali, tempi veloci, adrenalina, incroci taglienti tra le varie sezioni di fiati, una propulsione continua. I Funk Off hanno iniziato la stagione delle marching band italiane e, praticamente, hanno stabilito un modello forte per tutte le esperienze che li hanno “seguiti”. Ma, come per la celebre rivista, vantare “innumerevoli tentativi di imitazione” significa dover riuscire a trovare l’equilibrio tra il bisogno di innovazione e la stabilità della propria firma, senza rimanere prigionieri di sé stessi. Anche nel caso della Minafric si può parlare di immediata riconoscibilità. La pubblicazione del recente disco – Minafric, appunto, a nome di Pino Minafra – porta a compimento un percorso lungo, già in qualche modo passato nel 2013 sul palco del Talos: direttrici diverse si giustappongono in una costruzione articolata e, a suo modo, estremamente coerente. Nei brani eseguiti troviamo sperimentazione e attaccamento ai territori, le tradizioni bandistiche e le esperienze di improvvisazione radicale seguite dai vari componenti, la scrittura e il canto, i suoni del Mediterraneo e il groove e, per finire, gli aspetti più ludici e platealmente teatrali interpretati da Pino Minafra nella conclusione del concerto. Se l’incontro con le Faraualla esalta gli aspetti mediterranei e melodici, è tutta l’archittetura di Minafric a creare l'”arena” per far coesistere elementi e storie personali, a trovare le chiavi per farli confrontare e trovare i punti di contatto e, eventualmente, le criticità e i fattori di scontro.
L’ultima serata è stata interamente dedicata all’Albania con un percorso sfaccettato: il filo temporale ed espressivo della serata si è svolto attraverso i secoli e le declinazioni della musica popolare, la purezza, il recupero e le contaminazioni possibili. Il punto di partenza è stato rappresentato dalle voci dell’Albanian Iso Polyphonic Choir, raggiunti poi sul palco dal pianista Robert Bisha. Una volta scesi dal palco i cantori, Bisha ha ripercorso le musiche della tradizione in piano solo ed è stato raggiunto dai componenti di Fanfara Tirana, prima di un secondo momento in solo dopo aver imbracciato il tembur, una sorta di bouzouki del Kurdistan. Infine, il finale pirotecnico affidato a Fanfara Tirana e Transglobal Underground. Quindi, lo spettacolo ha seguito, alla fin fine, i “canoni” imposti storicamente dal Talos alle sue serate. Se la conclusione del festival ha visto sul palco una possibile declinazione – metropolitana, contaminata, meticciata – del concetto di banda tanto caro a Minafra, la prima parte del concerto ha regalato momenti di altissima poesia e suggestione, capace di esporre tanto il suono puro delle voci, quanto la loro possibile interazione con un pianista attento a entrare nel mondo della tradizione con circospezione e intenzioni chiare.
Le attività collaterali sono state forse il vero motore del festival. I due appuntamenti con Barry Guy – in Cattedrale insieme al violino di Maya Homburger e in contrabbasso solo al Teatro Comunale – hanno rappresentato in concreto quanto rimasto delle intenzioni primigenie dei direttori artistici doveva essere il focus sul contrabbassista all’interno del festival. Due momenti diversi tra loro ma ugualmente intriganti: la ricerca timbrica sullo strumento, la precisione nel gesto e la pulizia nella “reazione sonora” offerta dal contrabbasso ai movimenti, lo sguardo alla scrittura della musica contemporanea e alle possibilità insite nell’improvvisazione più radicale e drastica. Al Talos Festival, il quartetto di Pasquale Innarella è tornato sui suoi passi: rispetto al concerto del Garbatella Jazz Festival dove è stato proposto Migrantes, i protagonisti dell’esibizione ruvese sono stati gli Uomini di Terra del precedente disco. Il corredo delle fotografie e delle immagini di Mario Perrotta e l’energia profusa dal quartetto sono il giusto omaggio ad una tradizione contadina: i canti delle donne e, in particolare, della nonna di Innarella sono gli spunti di partenza per un materiale che poi abbraccia la storia musicale dei quattro protagonisti e si avvantaggia del loro sodalizio ormai solido e duraturo. Pino Ninfa ha proposto Round About Township, proiettando le fotografie scattate in Sud Africa accompagnate dalle improvvisazioni di Nicola Pisani e Vincenzo Mazzone: uno spettacolo dai forti contenuti narrativi e sociali, un ritratto senza compromessi, filtri o abbellimenti di una realtà spesso drammatica. Sassofono e percussioni hanno ripreso i toni e le atmosfere delle immagini, senza dimenticare anche l’attitudine, nonostante tutto, positiva e sorridente che traspare dai volti di molti dei protagonisti degli scatti. Il seminario di Dario Cecchini con le street band del territorio, la Conturband e la Birbant Band, ha avuto il suo momento pubblico nella Cantina Crifo, in una festa pomeridiana a ritmo di funky. Per ultime ho lasciato le Meditazioni su Bach tenute da Maya Homburger nella Chiesa del Purgatorio, con gli studenti delle classi di violino del Conservatorio di Bari: un momento di pacificazione all’interno di un festival, comunque, turbinante nei quattro giorni della sezione internazionale, un momento di riflessione e dialogo, posizionato all’inizio del pomeriggio della domenica.
Il Talos Festival ha conosciuto un’edizione difficile ma, nonostante tutto, scoppiettante e di alto profilo. Come si diceva sopra, la spinta è stata data da quanto è avvenuto fuori dal palco centrale: concerti, incontri, appuntamenti in grado di mantenere elevato il livello e l’interesse del pubblico, di stimolare curiosità, di sfruttare lo splendore di alcuni luoghi come la Cattedrale. E, come vedremo nell’intervista con Pino Minafra, la partecipazione dei volontari e il coinvolgimento di tante realtà che si sono affiancate, secondo modalità differenti, al festival. La convergenza dei vari fattori ha raccontato ancora una volta la storia di un festival realizzato con tenace persistenza e con la lucida follia riconosciuta a Pino Minafra anche dallo stesso Sindaco di Ruvo di Puglia nel saluto finale prima della serata conclusiva. Strumenti utili e, ormai, necessari per condurre a compimento un’impresa culturale nell’Italia di oggi.
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