ACT Music – ACT 9581-2 – 2015
Rudresh Mahanthappa: sax alto
Adam O’Farrill: tromba
Matt Mitchell: pianoforte
François Moutin: contrabbasso
Rudy Royston: batteria
Charlie Parker è scomparso sessant’anni fa. Il suo ruolo nella storia del jazz è importante, imponente, torreggiante. È stato tra i fautori del bebop – per molti, addirittura, la sua personificazione – e i suoi lavori hanno contribuito a segnare una svolta estremamente significativa nel percorso seguito da questa musica. Rudresh Mahanthappa segue una strada molto intelligente per creare un lavoro intorno a Parker: il disco non è un omaggio, non vengono interpretati brani di Bird né vengono ricreate le atmosfere dei suoi lavori o dei suoi concerti. Le tredici tracce originali sono basate su alcuni temi di Parker, si sviluppano in maniera del tutto indipendente e danno vita a un lavoro estremamente corposo per significato e rimandi.
«Bird chiama ciascuno di noi ad abbracciare la bellezza del mondo nella sua forma attuale»: questa la conclusione delle note di copertina scritte dallo stesso Mahanthappa. L’indipendenza dello sviluppo seguito dai brani è tale che non solo si deve andare a leggere nei lista dei titoli a quale dei capisaldi parkeriani ci si riferisce di volta in volta, ma si perde l’interesse a saperlo, diventa un fatto secondario, una curiosità.
Il percorso disegnato da Rudresh Mahanthappa abbraccia quindi circa settant’anni di musica – dalle prime incisioni di Parker ad oggi – in una rivisitazione tanto profonda quanto sintetica. Il lavoro di rimandi e significati cui si accennava sopra è rappresentato dalla strettissima connessione tra i vari tasselli, dal passo sicuro e dalla voce solida del quintetto, dalla lucidità progettuale ed esecutiva. Bop, jazz modale, fusion, elementi indiani, avanguardie e libertà espressiva: Mahanthappa crea una miscela stretta e serrata, utilizza tutto e riesce a rendere tutto estremamente personale e coerente. Si può cercare di seguire, ad esempio, la matrice indiana di alcune frasi e passaggi e ritrovarsi in atmosfere vicine alla fusion: non sono le sollecitazioni di partenza e di arrivo, non sono i singoli riflessi a caratterizzare il lavoro di Mahanthappa, ma la necessità della sintesi, la possibilità di abbracciare in una visione unitaria il mondo di oggi. Naturalmente è possibile proseguire il gioco con tantissimi incroci ulteriori rispetto a quello preso ad esempio sopra. Il senso però è nella scelta programmatica e nella riuscita di una prospettiva ben precisa: la ricerca delle «forze gravitazionali del jazz» nel momento in cui questo si apre al mondo e alle altre musiche. Capire, cioè, come interagisca, come si modifichi, come si evolva, cosa evochi il linguaggio del jazz nel presente momento storico e nel suo contatto con gli altri linguaggi.
Il quintetto disposto da Mahanthappa è una formazione estremamente compatta. La tecnica dei cinque risolve ogni situazione e passaggio, rende fluido un discorso articolato e difficile. Riesce a dare significato e sentimento ad una struttura complessa: la densità e l’intensa carica energetica del disco rendono i sessantadue minuti un corpo unico: Bird Calls si potrebbe definire una suite, un discorso ragionato nella sua architettura complessiva, gestito e diretto con attitudine attenta. Un quintetto acustico, costruito sul canone più battuto della formazione, agile però nello spostarsi nelle diverse direzioni, nel riprendere e disporre tutti i fili del discorso in una trama ordinata e fluente.
Parker come banco di prova per l’evoluzione del jazz e, in generale, della musica. Sempre nelle note di copertina, Mahanthappa afferma che «è facile dire che la musica di Parker rappresenti una pietra miliare nel jazz, ma mettersi al lavoro per dimostrarne l’indelebile influenza con un ragionamento musicale è stata un’impresa eccitante.» Mahanthappa presenta il disco con un breve testo – le note di copertina citate a più riprese, in questa recensione – che fungono da introduzione alle tracce registrate ma possono essere, allo stesso tempo, il punto di partenza per una riflessione ampia sulla musica di oggi e, in particolare, su quella che chiamiamo jazz. Una riflessione necessaria oggi come oggi per uscire dalle conseguenze sterili tanto di atteggiamenti puristi quanto delle aperture più disordinate. Il jazz ha nel suo DNA sin dalle origini la sintesi e la convergenza di mondi differenti: un approccio che infonde linfa vitale alle sue tante correnti, alle sue contraddizioni e alle sue figure storiche. Una riflessione avvertita come fondamentale per poter trovare le chiavi espressive con cui guardare alla globalità degli incontri fatti dal jazz negli ultimi decenni, quanto meno dal 1959 in poi.
Rudresh Mahanthappa, Adam O’Farrill, Matt Mitchell, François Moutin e Rudy Royston riescono a dare sostanza ed evidenza al ragionamento senza lasciarlo scivolare nella dinamica di una dimostrazione pianificata a tavolino. Bird Calls è un lavoro solido: si legge nelle note suonate e scritte dal sassofonista e dai suoi compagni una notevole determinazione, si avverte come la musica presente nel disco sia il frutto di un percorso pensato e voluto con grande forza, di una passione lucidamente indirizzata. Il quintetto scava tanto nell’attualità della musica quanto nelle proprie intenzioni e cerca di definire in modo, allo stesso tempo, personale e collettivo cosa voglia dire essere moderni oggi. E Mahanthappa suggerisce, nemmeno troppo velatamente, di fare riferimento ai musicisti che nel corso della storia hanno rivolto lo sguardo verso altri obiettivi e non si sono accontentati solamente di mettere i piedi sulle orme dei propri predecessori: il passato esiste ed è una risorsa per guardare avanti, non si può procedere senza conoscere quanto già vissuto e senza la voglia e l’intenzione di rispondere alle sollecitazioni del presente e di suscitare le domande per affrontare in modo consapevole il futuro.
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