Centonote – 2015
Saverio Pepe: voce
Giovanni Scasciamacchia: batteria
Aldo Vigorito: contrabbasso
Antonio Ippolito: bandoneon
Guido Di Leone: chitarra
Alfonso Deidda: pianoforte, flauto, sax contralto, arrangiamenti
Daniele Scannapieco: sax tenore, sax soprano
Marco Tamburini: tromba, flicorno
Canto male il jazz è la dichiarazione di intenti di Saverio Pepe. Tra ironia e sguardo disincantato, tra calembour e istrionica recitazione, le quattordici tracce del disco ci consegnano un panorama variopinto delle figure e delle caricature che abitano la nostra attualità. Figure allegramente sgradevoli, sovrabbondanti nel loro stare al mondo, accarezzate da una compassione divertita e animate dall’incalzante susseguirsi di rime e allitterazioni.
Accarezzate anche da una band di altissimo profilo dove troviamo musicisti che il jazz lo suonano tutt’altro che male: Giovanni Scasciamacchia, Aldo Vigorito, Antonio Ippolito, Guido Di Leone, Alfonso Deidda, Daniele Scannapieco e il compianto Marco Tamburini, scomparso purtroppo poche settimane dopo la pubblicazione del disco. Una band in grado di accompagnare i racconti e i bozzetti di Saverio Pepe, di seguirne le evoluzioni e di dare tridimensionalità ai figuri, più o meno loschi, che si aggirano nel disco. I brani si muovono sempre su un equilibrio sottile, l’intervento dei nostri jazzisti riesce ad allargare lo spazio su cui Pepe può poggiare i piedi. L’alternanza di racconto parlato, di cantato confidenziale e di voce piena diventa possibile grazie alla miscela proposta dalla formazione, all’elasticità con cui affronta l’atmosfera di ciascun brano.
Saverio Pepe segue una traccia ben presente nel nostro cantautorato. Il rapporto tra swing e ironia, tra ritmo sincopato, melodia italiana e parola ha avuto interpreti diversi per estrazione e intenti. Se le esperienze di Renato Carosone, di Fred Buscaglione e del Quartetto Cetra sono state praticamente contemporanee all’esplosione delle formazioni italiane del jazz nel secondo dopoguerra, dagli anni ottanta il filone è diventato costante e sempre attivo. Nelle tracce di Canto male il jazz ritroviamo accostamenti tra elementi diversi: il grandguignol, uno sguardo rivolto al Meridione tra amarezza e voglia di vivere, la passione e l’amore affrontate tanto con languore quanto con sarcastico umorismo.
La megera, il bellimbusto, il Principe Tancredi, le micine, i maggiordomi, la signora del Tango, il padre con tre mogli e le altre personificazioni tirate in ballo da Pepe si affollano in un mondo che guarda spesso al passato. E lo fa mettendo in scena memorie e momenti onirici, utilizzando parole che non si usano più e frasi dal profumo antico. Il jazz suonato in maniera tradizionale diventa un ulteriore rimando temporale. L’attenzione rivolta al ricordo, al sogno, al passato è un artificio per parlare dell’attualità, per provare a capire come sono cambiate le cose, per vedere, se certe evoluzioni del tutto necessarie, sono state bene interpretate e ci hanno portato in una situazione migliore.
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