Francesco Meli. Frank Sinatra – Semplicemente il Migliore

Foto: la copertina del libro










Francesco Meli. Frank Sinatra – Semplicemente il Migliore

Odoya – 2014


In occasione del centesimo anniversario della nascita di Frank Sinatra (avvenuta il 12 dicembre 1915), Francesco Meli ha ripubblicato, con alcune modifiche e arricchimenti iconografici, la bella biografia di The Voice che era già apparsa nel 2011. Già il sottotitolo svela le intenzioni dell’autore, studioso e docente di letteratura nord americana. Meli ama senza riserve l’artista Sinatra ma è anche interessato e affascinato dal personaggio.


«Il centenario di Sinatra ha suscitato negli Usa un polverone retorico, oltre che commerciale – dice l’autore. Tutti si sono lanciati nell’esaltazione della voce americana del ventesimo secolo. Tutti ne hanno esaltato la grandezza artistica. Tutti o quasi hanno dimenticato le polemiche feroci che la figura di Frankye Boy (così lo chiamavano fin dai tempi dell’infanzia nel New Jersey) ha sempre suscitato nella mentalità comune del finto puritanesimo statunitense. Sinatra ha rappresentato per anni lo stereotipo dell’immigrato italo americano: violento, ai margini dell’illegalità, disordinato nella sua vita sentimentale, spaccone. Non dimentichiamo che una serie come The Sopranos, una continua citazione di questi luoghi comuni è andata in onda, con grande successo dal 1999 (un anno dopo la morte di Sinatra) fino al 2007. Parlo di finto puritanesimo non a caso. Nel mio libro racconto come la famiglia Kennedy abbia usato Sinatra nella vittoriosa campagna elettorale del 1960 per scaricarlo immediatamente dopo perché personaggio contiguo alla malavita italo-americana. La sua amicizia era imbarazzante. I Kennedy tuttavia non disdegnarono l’aiuto di personaggi come il gangster Sam Giancana. D’altronde Joe, il loro pater familias, fece fortuna in maniera a dir poco equivoca, ai tempi del proibizionismo.»


«Se gli USA – prosegue Francesco Meli – si sono riappropriati del mito di The Voice, l’Italia ha continuato a ignorarlo e a sottovalutarlo. Anche se nel suo modo di cantare c’era molta italianità. Ma il nostro è il paese che conosciamo: superficiale, disattento, incapace di valorizzare la sua cultura.»


Sinatra fu, secondo Meli, un autentico ribelle; intollerante di convenzioni sociali, di pregiudizi razziali ed etnici. Non a caso. Non solo, sfidò anche il sistema dell’industria discografica, fondando nel 1961 una sua casa discografica, la Reprise. Quest’anticonformismo, questa indipendenza non potevano essere accettati in pieno dalla mentalità Wasp predominante nella mentalità statunitense. Gli italiani erano, in questa visione del mondo, pur sempre dei “White niggers”. E i negri, per utilizzare una frase di Muhammad Ali citata nel libro, «sono americani solo quando vincono.»


Certo, ci furono le amicizie pericolose, d’altronde Frankye Boy, crebbe nelle strade di Hoboken, un sobborgo del New Jersey che secondo Meli ricorda le strade disordinate e violente raccontate da Sergio Leone in C’era una volta in America. Certo, l’uomo era passionale, anche rissoso (divertente il racconto del suo rapporto con l’ultraconservatore John Wayne con cui venne quasi alle mani) e terribilmente arrogante, anche se incredibilmente generoso con gli amici e con le persone sfortunate.


Meli si sofferma molto anche sul Sinatra cantante e sui suoi intensi rapporti con il jazz e i jazzisti.


Un bel libro, appassionato, documentato, per niente politically correct (ci sono anche alcune pagine critiche dedicate a un certo femminismo americano che vide in Sinatra un’incarnazione di un machismo deteriore).