Cisilino/Orefice/Vignato/Magatelli/Mansutti – Malkuth

Cisilino/Orefice/Vignato/Magatelli/Mansutti - Malkuth

Rudi Records – RRJ 1028 – 2015



Mirko Cisilino: tromba

Filippo Orefice: sax tenore

Filippo Vignato: trombone

Mattia Magatelli: contrabbasso

Alessandro Mansutti: batteria






Magia ineffabile della Tradizione, se questa incontra tuttora incarnazioni efficienti e vitale spirito continuativo, non in contraddizione con istanze e sensibilità correnti, assai fruibili nel carattere e nell’investimento interpretativo di un quintetto giovane ma alieno da giovanilismi a perdere – anzi.


Modellata tra nove tracks equamente suddivise tra composizioni a firma di Cisilino e circa altrettante elaborate in collettivo, Malkuth è ampia sperimentazione di campo su stilemi della grande scuola, tra cinque dotati strumentisti «forgiati dall’ascolto reciproco e che hanno metabolizzato linguaggi e pratiche del grande Jazz degli anni ’60.»


Muta-forma, vibranti, toccate da enfasi naturale e finalizzata alla convergenza comunicativa, le prestazioni della triade a fiato appaiono accurate per tonica eloquenza, intessuta tra le variegate figurazioni del drumming, e le solide interpunzioni del contrabbasso, tutte determinate a conformare una performance-manifesto della Golden-Age, le cui sbilanciate tensioni si fecero per più e più segni anticamera delle istanze del primo free.


«Malkuth significa Regno, il piano di realtà dove noi viviamo, qui sulla terra – il sempre iridescente mondo dove noi viviamo, piangiamo, distruggiamo e ricostruiamo, in cui diamo forma alle nostre vite, improvvisando e reagendo. Tutto è – consciamente ed inconsciamente – sostanza e scambio: infinite possibilità ne sono il risultato. Questo è ciò cui la musica di Malkuth aspira ad essere.»


Molto apprezzabile, più che l’ispirativo testo di presentazione, la freschezza della corrente espressiva che anima l’incisione, che pure a piene mani e memoria attinge a grandi correnti repertoriali, intessendo le trame tra lancinanti coralità gospel o umorali spleen d’inquietudine “Southern” a teoretiche vigorie chicagoane, sempre in efficace equilibrio tra funzione scenica e realismo costruttivo.


Magmatica e squillante, fantasmatica e colta, sintonica e occasionalmente centrifuga, alla performance dei cinque vi è poco o nulla di eccepibile, o imputabile a rendite da “già sentito”, e nell’articolazione d’insieme, la Old-School senza (soverchio) peso ne risulta graziata e gratificata da una libera rivisitazione, intelligente e – l’ascolto argomenterà – variamente responsabilizzata.