Foto: Elisa Velleca
Mark Turner Quartet @ ParmaJazz Frontiere
Parma, Parma Jazz Frontiere. 4.11.2015
Mark Turner: sassofoni
Avishai Cohen: tromba
Joe Martin: contrabbasso
Obed Calvaire: batteria
Gran folla per il concerto del quartetto di Mark Turner (Avishai Cohen alla tromba, Joe Martin al contrabbasso e Obed Calvaire alla batteria), presentato da Parma Jazz Frontiere presso la Casa della Musica della città ducale. Gran folla e applausi.
Il gruppo presentava la sua ultima incisone ECM, Lathe of Heaven ma rispetto al disco alla batteria c’era Obed Calvaire a sostituire Marcus Gilmore. Il gruppo è entrato ben presto in sintonia con l’uditorio proponendo lunghe sequenze melodiche disegnate in partenza dal sax del leader e dalla tromba di Avishai Cohen, che i solisti hanno ripreso e rielaborato in maniera esemplare, da soli o dialogando fittamente, tenendo sempre desta l’attenzione. La formula del pianoless ha esaltato la grande inventiva melodica dei due fiati, sorretti da una ritmica intensa e ricca (non a caso qualcuna l’ha definita mingusiana) . Il sax di Mark Turner ha una sonorità molto particolare, delicata e apparentemente fragile. In certi momenti era come ascoltare un Lester Young influenzato da Coltrane. Avishai Cohen ha incantato il pubblico per la bellezza del suo suono, intriso della lezione di tutti i grandi maestri (Miles certo, ma anche e soprattutto, in alcune sequenze, anche Woody Shaw).
Al di là delle citazioni e dei rimandi vari (che restano quasi sempre un’irrinunciabile abitudine, se non un vezzo, per l’appassionato) rimane il dato di fatto che Turner e i suoi hanno proposto una musica del tutto originale. Un jazz saldamente radicato nella storia, eppure molto originale, soprattutto dal punto di vista di un’inventiva melodica sinuosa, intessuta di spirali, di giochi di specchi e di prospettive. Alla fine del concerto, chiuso da un bel blues che ha fugato ogni eventuale dubbio sulle radici dei quattro è rimasta, per lo meno all’autore di queste note, una rassicurante certezza. Il jazz è una musica assolutamente lontana dall’estinzione. Il confronto continuo con gli altri linguaggi non ha affatto nuociuto alla pianta originale della musica degli afro-americani. Tutt’altro. Su entrambe le sponde dell’atlantico, ma anche altrove, tanti musicisti di talento percorrono sentieri nuovi, indicano prospettive diverse, parlano nuovi linguaggi.
E il pubblico risponde come dimostra il concerto qui sommariamente raccontato, anche se va anche detto che alcuni spettatori, hanno trovato la ricerca melodica del quartetto fumosa e manieristica, poco innovativa pur riconoscendo la bravura dei quattro protagonisti.