Kamasi Washington @ Monk Club

Foto: Fabio Ciminiera










Kamasi Washington @ Monk Club

Roma, Monk Club – 3.11.2015

Il 10 novembre sbarca nella capitale per la prima volta assoluta il sassofonista Kamasi Washington, uno di quei nomi che più ha fatto parlare e diviso la critica specializzata in questi ultimi tempi. Il musicista californiano, dopo un inizio carriera a fianco dei più grossi nomi della scena rap e hip hop, ha fatto il suo esordio discografico da solista con un album triplo, The Epic, assai interessante, riscuotendo seguito e curiosità anche al di fuori di un contesto tipicamente jazz. Preventivabile, per questa data al Monk, la grande fila ai botteghini e la gente assiepata paziente sotto al palco per uno degli eventi più attesi di questa stagione. Il massiccio tenorista si presenta a capo della sua formazione, un sestetto variegato completato dalla voce di Patrice Quinn, con cui si accompagna in questa tournée mondiale che prevede tre tappe italiane. Fin dalle prime battute i sei iniziano a macinare note a volumi e ritmi indiavolati, in un miscuglio di suoni che riprendono da una parte le sonorità free degli anni ’60, con riferimenti a Sun Ra, Pharoah Sanders e John Coltrane, e quelli successivi del funk e della black più moderna dall’altra.


Il concerto si apre e si articola inevitabilmente sulla falsa riga del disco, con i temi articolati e complessi che aprono alle lunghe e accattivanti improvvisazioni di un Kamasi che cerca di portare ogni brano all’estremo con assoli tirati e ricchi di armonici. Complice però una acustica che lascia parecchio a desiderare e dei suoni alquanto discutibili, il risultato appare fin da subito molto lontano da quello racchiuso nei tre dischi: l’interplay tra i musicisti è pressoché nullo, con gli stessi intenti a suonare la propria parte senza ascoltare quello che succede intorno, così come debole appare la presenza scenica ed il rapporto con il pubblico, mai chiamato in causa nonostante si fosse in un club stracolmo. La nota più piacevole, la voce della brava Quinn, viene quasi subito relegata a comparsa per una musica che già al terzo brano appare monocorde e ridondante, poggiata sulla valanga di note dei solisti che però non riescono mai a far decollare i brani, troppo carichi e pesanti.


Uniche eccezioni le ballad in cui la cantante riesce a dare un tocco di freschezza condita finalmente da qualche bella frase del tenore del protagonista, troppo immobile nel suo stile a metà strada tra il free ed il funk. Anche l’entrata in scena del padre dello stesso leader al soprano non fa altro che accrescere l’impressione di trovarsi davanti ad una formazione buona per un qualsiasi club americano, in una estenuante serata durata oltre due ore che lascia parecchi dubbi. Quel che resta è un sound che dal vivo non ha mai la forza e la tensione di quello impresso dalle produzioni della Impulse!, mancando anche di quel groove che caratterizza la migliore musica nera, ma che ha tuttavia il grande pregio di aver avvicinato a certe sonorità un gran pubblico fatto soprattutto di giovani.



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