Nessa Records – ncd 37 – 2015
Roscoe Mitchell: sax alto, soprano, sopranino
Tomeka Reid: violoncello
Junius Paul: contrabbasso
Vincent Davis: batteria
Porsi con aspettative “in minore” almeno guardando al titolo “a programma” sarebbe un pregiudiziale malinteso, fugato speditamente da un ascolto che attesterà la piena forma, creativa e performante, dello stagionato maestro chicagoano.
Qui in formazione con i giovani Junius Paul e Tomeka Davis (ai grandi strumenti ad arco) e il veterano batterista Vincent Davis, l’album ne riporta una session molto recente peraltro (fine marzo 2015 al rinomato Constellation club di Chicago) e coincidente all’incirca con il mancato ottantacinquesimo anniversario del grande tenorista (uso a condurre una performance per ogni suo compleanno, e in ciò onorato dai superstiti sodali), mancato cinque anni prima dopo una carriera segnata da co-fondatore dell’AACM, di sufficiente carisma per fungere da garante almeno a figure quali George Lewis, Nicole Mitchell o Hamid Drake.
«Il free jazz era ancora molto giovane quando s’incontrarono per la prima volta Mitchell e Anderson, nel 1961 o ’62, appena dopo il ritorno del primo a Chicago dal servizio militare; i due si riunirono entro quel fermento intellettual-musicale che condusse alla fondazione dell’AACM nel 1965. Da allora l’arte di Anderson si sviluppò solidamente fino a farne una delle più belle voci di tenore del free, stanti il suo lirismo senza limiti ed il corpo e la bellezza del suo sound.» Ciò dalle note di copertina, talmente istruttive e fitte da meritare uno spazio a sé, non mancanti di entrare polemicamente nelle cause di quel movimento musicale e delle sue sempre attuali implicazioni, nonché di porsi criticamente in presa diretta entro i meccanismi di questa incisione.
Rielaborando quattro composizioni proprie, ed operando un refreshing su due lavori andersoniani, si gettano le basi per una performance da subito nel vivo dell’azione, ma più che le tessiture mobili e le carpenterie instabili incarnate dal performing vivido e pressoché inesauribile dei quattro partner, colpisce il valore dell’impegno e della partecipazione individuali, dal drumming pittorico e sensitivo di Davis ai rocciosi impeti contrabbassistici di Paul, dalle sciabolate aspre e le setose linee cellistiche di Reid al flusso eruttivo delle ance di Roscoe Mitchell, la cui acida aggressività non ne svilisce mai il portato poetico e la sapiente carica espressiva.
Forte di 75 primavere, ma senza che declini autunnali e ancor meno glacialità invernali ne segnino o adombrino la tempra inventiva, questo maestro ci dona un’ulteriore testimonianza di pregio d’arte e passione condivise, collocando un dinamico tassello nel puzzle vivo e deliberatamente incompiuto dell’anarchica e “diversamente costruttiva” civiltà del free.