Intakt Records – CD 261 – 2016
Aly Keïta: balafon
Jan Galega Brönnimann: clarino basso, clarino contrabbasso, sax soprano
Lucas Niggli: batteria
Omaggio non del tutto scontato ad un maestro della contemporanea arte del balafon, una delle primissime uscite del neo-inaugurato anno musicale conferisce protagonismo ad un grosso personaggio del mondo musicale ivoriano, dedito alla causa e all’evoluzione del tradizionale strumento, cui pedagogicamente ha sviluppato l’approccio pentatonico, e già con varie porte aperte su palcoscenici in comune con Pharoah Sanders o Omar Sosa, non mancando d’incrociare le bacchette anche con grandi confratelli quali Trilok Gurtu o Arto Tunçboyaciyan.
Tra questi ultimi, qui si ravviva un sodalizio con il quotato omologo elvetico Lucas Niggli, le cui reciproche connessioni, ben oltre la comunanze strumentali non poi stringenti, si estendono nello spazio e ancor di più nel tempo, essendo entrambi nativi del Camerun e legati da un’amicizia che risale ai… primi mesi di vita!
Album dagli schemi apparentemente aperti, ma mai perdente di vista il godibile ruolo di primo piano sul ligneo strumento, Kalo Yele esita in un’autentica fucina di trovate segnate dalla personalità di Aly Keïta, approcciante il proprio strumento con naturale maestria, verso cui non si priva di una genuina, quanto infantile dimensione della continua riscoperta, affiancato dal talento di Niggli, il cui drumming ora di minore asprezza risuona di una sontuosità ed una magniloquenza che rende onore al grande colore africano, accettando in più passaggi un rispettoso ruolo d’accompagnamento, triangolato dalla prestazione piuttosto infaticabile del clarinista a vocazione bassa e sopranista svizzero Jan Galega Brönnimann (operante alla scrittura di circa metà dei materiali e, guarda il caso!, altro nativo camerunense) che funge da mantice melodico cementante nell’animato vigore armonico del lavoro, di peculiare completezza pur nella sua atipica line-up.
Si potranno ricercare varie possibili analogie, le forti alonature pop-jazz richiameranno in prima istanza le soluzioni e gli estri dell’originale Joe Zawinul (altra grande frequentazione dell’ivoriano), a ricordare quanto universali (e libere dalle trite formule del “villaggio globale”) siano determinate e così forti correnti ispirative.
Risultano così esplosiva e frizzante la sequenza, particolarmente nelle irresistibili Makuku e Dreams of Mikael, e nei vigorosi climi da jam di Abidjan Serenade (pervasa da una setosa corrente melodica), ma al di là della sapienza secolare (o più correttamente, atemporale) espressa da uno strumento etnico di forte identità, è con così grandi implicazioni di colore che risulta pressoché universale il potenziale di fruibilità, ciò particolarmente valido a fronte di un progetto particolarmente studiato, ma più verosimilmente calibrato sulla (estesa) misura della cultura e del talento di un giovane maestro dell’arte percussiva, articolatamente spalleggiato da due più che tonici confratelli .
Difficile rendere solo a parole una così prorompente musicalità, di cui consigliamo l’ascolto non soltanto sulle pagine digitali: organismo vitale e convergenza di molteplici cellule acustiche, la risonante giungla-giocattolo (quando al gioco si voglia concedere dignità intelligente e formativa) di Kalo Yele segna molti punti qualitativi, per una volta facendo sì che giudizi di qualità ed approcci “di testa” possano rimanere un passo indietro rispetto ad una fruizione che s’imporrà come una ventata di spontaneità creativa e investimento nel libero, quanto appagante, piacere dell’ascolto.
Link correlato: http://intaktrec.bandcamp.com/album/kalo-yele-24bit-44khz