Starting Point. Patrizia Scascitelli Jazz Pianist

Foto: un fotogramma del documentario










Starting Point. Patrizia Scascitelli Jazz Pianist

A cura di Gianluca Bozzo


Il cortometraggio (24 minuti) si apre con una trasmissione televisiva degli anni ’70 in cui un presentatore, probabilmente non del tutto a suo agio con le cose del jazz, presenta un insolito gruppo guidato da una giovane, minuta e graziosissima pianista, Patrizia Scascitelli. Con lei tre musicisti di colore. Erano certamente anni molto particolari, su cui soffiavano forti venti d’innovazione. Erano gli anni della contestazione globale, del femminismo nascente, del jazz (soprattutto il free) inteso come musica anche d’impegno politico. Nonostante quest’atmosfera ribollente di cambiamento una donna jazzista che non fosse una cantante destava sensazione. Oltre a tutto, la Scascitelli era anche un band leader che aveva alle sue dipendenze anche musicisti americani di colore. Il film riassume benissimo, attraverso testimonianze di colleghi (fra gli altri Gianni Gebbia, Attilio Zanchi, Fabrizio Sferra) e una bella documentazione d’archivio il clima dell’epoca. Si sofferma anche, giustamente, sulla figura di Giorgio Gaslini, che della pianista fu insegnante al Conservatorio e mentore, come su quella di Massimo Urbani, cui la Scascitelli dedica parole commosse. La parte in cui l’artista rievoca i suoi anni italiani è interessante.


La narrazione ha qualche cedimento nella seconda parte. Non spiega, ad esempio, il motivo del trasferimento del 1981 a New York e ritorna, fin troppo, sul tema iniziale: quello della figura della jazzista non cantante e delle difficoltà che incontra in un mondo sostanzialmente ancora un po’ maschilista.


Manca del tutto, nelle parti in cui la Scascitelli racconta se stessa, un qualsiasi elemento di riflessione sulle diversità fra la scena jazzistica italiana e quella americana, in particolare quella della Big Apple. Alla pianista, figura storica dell’avanguardia europea, non viene mai chiesto un parere sullo stato attuale della musica improvvisata, sulla “contaminazione” dei linguaggi, sul meltin pot musicale newyorkese: temi su cui gli appassionati dibattono e si arrovellano da anni.


Questo limite si spiega con il dato che il cortometraggio non si rivolge a un pubblico di cultori delle vicende jazzistiche. Vuole piuttosto raccontare la storia, eclatante negli anni ’70 e tuttora abbastanza insolita, di una musicista che ha superato il vecchio cliché che identificava il jazz al femminile con le figure delle cantanti; in questo raggiunge perfettamente il suo scopo e merita un giudizio largamente positivo.



Link al documentario su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=tKwZJThLuHs