AlfaMusic – AFMCD171 – 2015
Dino Piana: trombone a pistoni
Franco Piana: tromba, flicorno
Fabrizio Bosso: tromba
Max Ionata: sax tenore
Ferruccio Corsi: sax alto
Lorenzo Corsi: flauto
Enrico Pieranunzi: pianoforte
Giuseppe Bassi: contrabbasso
Roberto Gatto: batteria
Dino e Franco Piana riprendono il cammino dal punto in cui li aveva portati Seven. Anzi, rilanciano! Si passa da sette a nove musicisti per formare un nonetto gestito con garbo e solida orchestrazione attraverso gli arrangiamenti di Franco Piana, autore peraltro di tutti i brani. Come e forse anche più di Seven, anche Seasons va ascoltato nella sua interezza, nel suo complesso di “poema jazzistico”. La definizione infatti che calza maggiormente con il lavoro è infatti quella di “opera” proprio per l’unitarietà e per la compattezza del discorso. Frasi e passaggi ricorrono e offrono all’ascoltatore i punti di riferimento per orientarsi tra le varie tracce. La scrittura, il lavoro di preparazione, la sovrapposizione e la combinazione dei ruoli dei vari strumenti coordinano le improvvisazioni senza imporsi all’estro dei vari interpreti convocati per la registrazione.
La scelta dei singoli elementi è un altro punto di vantaggio per il processo innescato da Dino e Franco Piana. L’ossatura del settetto presente in Seven è il punto di partenza per la definizione del suono e dell’approccio al materiale. In primo luogo si sfruttano i “meccanismi” instaurati nel lavoro precedente: il dialogo tra la scrittura e i desideri del compositore, da una parte, e lo sviluppo proposto dal solista di turno si avvantaggi di informazioni e input già rodati. Se per qualche verso il jazz odierno ha ormai superato la “dualità” tra composizione e improvvisazione, avere a disposizione interpreti di altissimo livello, attenti, già nei propri progetti, all’equilibrio tra questi due momenti, al gioco continuo tra disegno predeterminato e libertà e al vantaggio reciproco che i due momenti possono apportare al discorso complessivo. La dimensione orchestrale del nonetto si basa sulla convergenza di questi elementi e su una gestione sempre efficace degli impasti timbrici: anche in questo caso, si affiancano due sensibilità differenti quanto ben calibrate, vale a dire quella dell’arrangiatore e quelle dei singoli musicisti. Tutti contribuiscono a rendere comodo un flusso sonoro che unisce il bisogno di vedere rispettati i propri cardini alle necessità di movimento e respiro tanto della musica che dei suoi protagonisti.
Seasons, come del resto già Seven, dimostra come sia possibile utilizzare le forme e i canoni del jazz tradizionale per costruire un lavoro originale e ricco. Anche in questo senso Dino e Franco Piana giocano con le possibilità a disposizione: richiamare elementi già ascoltati e spingerli verso una lettura personale, capace di unire generazioni di interpreti e ascoltatori e proporre un discorso mai scontato. Una felice sintesi tra visioni estetiche e riflessi stilistici. La dimensione acustica guarda e rimanda al jazz dell’Età dell’oro, l’interpretazione e la scrittura mitigano con discrezione il rigore, lo rendono permeabile alle evoluzioni, guardano con attenzione alla musica per cinema, alla letteratura classica, alle suggestioni portate dalla composizione per ampliare le possibilità espressive.
Il linguaggio del jazz è il riferimento forte, evidente e chiaro nel percorso di Seasons e, per traslato, in tutta la vicenda artistica di Dino Piana e, poi, di Franco Piana. La chiave di volta emerge dall’intenzione e dalla capacità di unire in maniera fluida il momento della progettazione con quello dell’esecuzione, per offrire un approccio personale tanto attraverso il rispetto e la conoscenza delle regole, quanto grazie agli stimoli “estenri” e grazie ad una esecuzione sempre di alto profilo.
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