Claudio Cojaniz. Confini e metronomi

Foto: da internet










Claudio Cojaniz. Confini e metronomi

Roma, I Concerti del Quirinale –

Claudio Cojaniz: pianoforte

Romano Todesco: contrabbasso

Alessandro Mansutti: batteria


È un periodo davvero molto intenso per Claudio Cojaniz. Il pianista friulano ha infatti diversi dischi in uscita: Il grande Drago (In quartetto con Massimo De Mattia, Franco Feruglio e Alessandro Mansutti), il secondo volume della sua ricerca sul piano stride e un solo, Verso il primo maggio, che rispecchia in pieno sia la sua passione politica sia la sua idea attuale di musica improvvisata.


Questo turbine d’idee e progetti ha avuto un adeguato riconoscimento con l’invito ricevuto da Cojaniz, con suo inedito trio, ai prestigiosi Concerti del Quirinale, trasmessi dal vivo ogni domenica a mezzogiorno da Radio Tre Rai (Non si loderà mai abbastanza il lavoro di questa emittente, un caposaldo autentico della resistenza culturale italiana).


Il concerto del trio, proposto il sette di febbraio, era basato su una serie di brani senza titolo. A distinguerli era solamente un numero posto dietro alla parola “metronomo”. Il filo rosso che li legava era che si tutti erano echi, tracce e suggestioni di melodie mitteleuropee. Per essere precisi di una zona del vecchio impero Austro Ungarico che va dal basso Friuli all’Ungheria, passando per la Slovenia e l’Austria. Non a caso il concerto è stato programmato in prossimità della Giornata del Ricordo, che ogni 10 febbraio evoca le drammatiche vicende dei confini orientali italiani alla fine della seconda guerra mondiale.


Cojaniz ha spiegato come molte di queste canzoni si ritrovino, con testi diversi, in differenti zone di quelle regioni. Quello che in un certo territorio era cantato come preghiera poteva essere utilizzato da altre popolazioni come canto d’amore, o di lotta e protesta. Su questi brandelli di memoria il trio ha lavorato benissimo, restituendo all’ascoltatore un clima di sottile malinconia, di poesia assorta e danzante. Nella presentazione del concerto il pianista ha anche detto frasi importanti sulle strade che la sua musica sta percorrendo. Strade che portano a una sorta di decantazione melodica e armonica, a una semplificazione del linguaggio che liberi pensieri ed emozioni: “Occorre ritrovare vecchie strutture armoniche che certe avanguardie avevano tentato di mettere in soffitta, a partire proprio dalla forma- canzone”. Parte essenziale di questa “semplificazione” (che non scade mai nel semplicismo o nella banalizzazione) è il modo in cui Cojaniz affronta il suo materiale. Il suo rifarsi alle atmosfere musicali africane è del tutto evidente e dichiarato. D’altronde è proprio della civiltà artistica africana il non tracciare confini certi tra sacro e profano, fra corpo e spirito, fra danza e preghiera. L’Africa, è un terreno ideale, un giacimento inesauribile per chi, come il pianista friulano, è in cerca di una nuova, più immediata, comunicatività, di una musica inclusiva, che parli, in primo luogo al cuore di chi ascolta, senza per questo dimenticare gli amori più antichi: Bach, il Blues, la tradizione stride, la musica contemporanea.


Confini e metronomi, ascoltabile in Podcast sul sito di Radio Tre Rai, sarà presto pubblicato in disco.