Foto: Fabio Bertolini
The Claudia Quintet @ Jam Festival 2016
Mira, Teatro di Villa dei Leoni – 12.3.2016
Jeremy Viner: clarinetto, sax tenore
Matt Moran: vibrafono
Red Wierenga: fisarmonica
Chris Tordini: contrabbasso
John Hollenbeck: batteria
Dodicesima edizione per la rassegna Jam – Jazz a Mira che quest’anno si trasforma in festival, per l’appunto JamFestival, che coinvolge altre località e situazioni nella Riviera del Brenta.
Il cartellone si sofferma sulla produzione jazzistica nostrana ma come ogni anno propone nomi stranieri di assoluto interesse al di fuori di facili scelte commerciali: ricordiamo qualche anno fa il fantastico Steve Lehman Trio.
Nicola Fazzini, sassofonista di talento e direttore artistico della rassegna, li presenta affermando che era diversi anni che li voleva proporre, eccoli dunque: The Claudia Quintet.
Il quintetto della scena downtown newyorkése si presenta come una formazione sui generis: l’idea di base è proporre una commistione di generi musicali e un sound inattuale, un’idea che guarda avanti per una musica ancora da venire. In una sorta di turbinio timbrico i cinque componenti corrono, saltano trasversalmente pensando al jazz come ad una materia informe allo stato fuso calda e ribollente pronta ad essere plasmata, all’interno vi fanno confluire le influenze più diverse: musica minimale, post rock, musica classica, folk, world music.
Nato alla fine degli anni novanta, l’ensemble, guidato dal prodigioso batterista John Hollenbeck, ha visto diversi cambiamenti di formazione, ne hanno fatto parte tra gli altri Chris Speed e Drew Gress, mantenendo fissa però la sua voglia di esplorare la musica senza preconcetti e barriere di sorta.
Se è una delle caratteristiche del jazz è la sua inclusività il progetto Claudia Quintet ha centrato le sue ambizioni.
Si parte con il brano Alist che ci introduce con vigore a quella voglia di trasversalità musicale fatta di citazioni e prestiti da ogni genere: la batteria potente e vigorosa contrasta con la melodia sghemba di sassofono e fisarmonica che, all’unisono, espongono il tema.
Nightbreak procede per un accumulo di piccole cellule melodiche pronto a sfidarci con la semplicità del tema, in realtà dopo poche battute già ci siamo persi come Alice nel Paese delle Meraviglie che insegue il bianconiglio.
Hollenbeck, autore di tutti brani, ha un grande talento compositivo ed una attenzione per l’armonia non comune, sporadicamente però notiamo che l’eccessiva “scrittura” raffredda le spinte improvvisative dei componenti anche se ciò non toglie sicuramente energia e verve alle composizioni.
Vibrafono e fisarmonica insieme, scelta inusuale per una formazione jazzisitica, confondono le carte introducendo di volta in volta delle stratificazioni musicali che si sovrappongono, creando una sorta di tappeto musicale che accoglie e avvolge tutti gli altri.
Con Rose l’istinto percussivo di Hollenbeck si manifesta in maniera esplosiva e senza filtri. E’ ormai difficile orientarsi e cogliere quali siano le influenze di genere, se ancora ha un senso cercarle; il ritmo è trascinante e noi con lui ci immedesimiamo.
In poco meno di due ore Hollenbeck e compagni delineano una musica fresca ed originale che tenta di superare sempre i suoi stessi limiti: uno stile costruito su fratture e scivolamenti che inconsapevolmente diventa un marchio di fabbrica.
Attendiamo con curiosità la prossima edizione del Jam Festival sempre generoso nella offerta di ottime proposte musicali.
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