Foto: Fabio Ciminiera
Gary Bartz Quartet @ Teatro Massimo, Pescara
Pescara, Teatro Massimo – 21.3.2016
Gary Bartz: sax
Barney McAll: pianoforte
James King: contrabbasso
Francisco Mela: batteria
Gary Bartz arriva in Italia per un breve tour di concerti con il suo quartetto ormai storico. Da quasi quindici anni, infatti, il sassofonista suona insieme a James King, Barney McAll e Greg Bandy. Una questione di forza maggiore ha costretto il batterista a rinunciare a queste date e quindi al suo posto troviamo Francisco Mela, che a sua volta collabora da tempo con Bartz nel quartetto di McCoy Tyner. E, quindi, anche nella grande complicità con il batterista cubano ritroviamo molti degli elementi caratteristici del percorso del sassofonista.
Molte delle chiavi secondo cui si è svolto il concerto emergono chiaramente nell’intervista a Gary Bartz pubblicata su Jazz Convention. Energia, capacità di essere dentro la musica con disposizione profonda, intenzione di far fluire e scorrere il senso attraverso l’interplay e la combinazione positiva offerta dalla band, la lunga durata della relazione tra i musicisti e la conseguente possibilità di far crescere la voce e la personalità del gruppo.
La risposta effettiva ed efficace proviene perciò dall’architettura stessa del concerto. Una lunga suite senza interruzioni, aperta e chiusa da una preghiera blues in cui il sassofonista canta per allontanare gli spiriti negativi, all’inizio, e per ringraziare del dono della musica, alla fine. Nel mezzo un articolato excursus nelle tante anime della musica afroamericana, da Nat King Cole e Duke Ellington agli Earth Wind & Fire e Stevie Wonder, passando per Davis, Coltrane, Lester Young, Charlie Parker, i ritmi cubani e la centralità dello swing. Al centro del gioco dinamiche sempre mobili: un lavoro condotto nella maniera essenziale e asciutta, tipica di una formazione agile come il quartetto, un percorso compiuto con la possibilità di aggiungere sempre nuovo significato alla musica.
Brani eseguiti in modo completo oppure affidati a frasi, accenni e suggestioni, sezioni obbligate utili per dirigere il quartetto in una direzione invece che in un’altra, attenzione massima all’interplay. La grandissima confidenza reciproca rende possibili movimenti altrimenti impensabili, un breve riff diventa segnale per richiamare l’attenzione degli altri sul palco o per istradarli verso una nuova prospettiva. Certo, c’è materiale provato e ci sono consuetudini diventate parte integrante delle esecuzioni del quartetto: ma vengono affrontati con l’attitudine di poter cambiare direzione e di poter dare un significato differente di volta in volta, prendendo spunto creativo dalle necessità del contesto o dall’estro dei singoli musicisti.
Un concerto, quindi, di grande energia. Un flusso sonoro sempre consistente. Per quanto il sassofonista, come afferma con forza nell’intervista, non ami affatto la parola jazz, è altrettanto facile immaginare come conosca la storia, l’evoluzione e il senso di questa musica e ne trasmetta sul palco l’esperienza e le nozioni. Insieme ai suoi compagni di palco, Bartz riesce a utilizzare il materiale a disposizione per farlo evolvere secondo nuove possibilità in una staffetta di significati sempre in movimento. Se l’attenzione e la duttilità del quartetto moltiplicano le capacità tecniche, se la confidenza rende possibili cose difficili da pensare per un gruppo che deve leggere la musica da eseguire, sono le qualità e lo spesso interpretativo dei quattro a garantire le condizioni per il discorso. a garantire la fluidità dei passaggi e l’impatto dei brani sul pubblico e il suo significato. Se l’invocazione cantata in apertura e chiusura, rende più facile collegare il concerto ad una celebrazione, questa non avviene certo con una ritualità stantia o come un atto dovuto, ma attraverso una partecipazione sempre in equilibrio tra la sorpresa e la conoscenza.
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